Roma (NEV), 10 febbraio 2025 – Recentemente a Parigi si è tenuto un importante incontro della Conferenza delle chiese europee (KEK) che ha inquadrato il futuro ruolo di questo storico organismo. Fra i temi, il lavoro delle chiese dell’Europa sud-occidentale e la loro rappresentanza all’interno dell’organizzazione, le sfide attuali, tra cui migrazioni e crisi climatica, partecipazione e sostenibilità economica. Inoltre, si è discusso del ruolo della KEK nei rapporti con il Consiglio d’Europa e la Corte Europea dei Diritti Umani, e della necessità di creare spazi di dialogo per posizioni differenti, ad esempio sul concetto di “pace giusta”. Infine, dell’importanza di una visione più ampia della sicurezza e del ruolo delle chiese nella società. (sull’incontro di Parigi, leggi il resoconto del delegato per la chiesa valdese, pastore Peter Ciaccio.

Per fare il punto, a partire a Parigi, sull’agenda della KEK, abbiamo interpellato il pastore Simone De Giuseppe, che fa parte del Governing Board.
La KEK continua a portare la voce delle Chiese nel Parlamento Europeo su temi di grande rilevanza. Quali sono oggi le principali priorità politiche su cui la KEK sta lavorando? Come viene recepita quest’azione dalle istituzioni europee?
Sì, esatto. La KEK, soprattutto negli ultimi anni, ha incrementato la sua azione nel Parlamento Europeo di Bruxelles. Tutto un filone di lavoro che viene portato avanti è quello del rispetto dei diritti umani, soprattutto quelli delle minoranze religiose cristiane che vivono in aree di conflitto, come ad esempio a Cipro e in Armenia. Allo stesso tempo, ci sono altri temi cari alle Chiese come il contrasto alla crisi climatica, l’impegno a sviluppare politiche di accoglienza per persone migranti che giungono in Europa e la promozione della pace. In generale, la KEK è percepita dalle istituzioni europee come una delle tante organizzazioni che si impegnano all’interno del Parlamento su questi temi. A mio avviso, il suo principale punto di forza (forse a volte anche di debolezza) è quello di essere una realtà intrinsecamente plurale, fondata sulla collaborazione e il dialogo nella comune fede in Gesù Cristo. Non è affatto scontato trovare oggi realtà come la KEK nello scenario europeo e la sua unità su tematiche centrali per la fede cristiana, pur vissuta nella diversità di tradizioni cristiane, resta la maggiore testimonianza che può dare ai rappresentanti dei diversi Paesi del continente.
La nuova versione della Charta Oecumenica sarà firmata a Vilnius dopo Pasqua. Quali sono le principali novità o modifiche rispetto alla versione precedente? E quali sfide sono state affrontate nel costruire e gestire il processo di revisione?
Come membro della Commissione Consultiva per le Relazioni Ecumeniche delle chiese battiste, metodiste e valdesi, ho avuto il privilegio di poter lavorare più da vicino al commento alla versione riveduta della Charta Oecumenica. In generale, non si tratta di una nuova versione, piuttosto di una versione riveduta. Infatti, l’impostazione è la stessa di quella precedente con dei piccoli cambiamenti strutturali (ad esempio la redistribuzione delle sezioni) e contenutistici (ad esempio la riscrittura e l’aggiornamento di alcune parti). Sicuramente questa versione aggiornata risulta un po’ meno elegante dell’originale e più estesa (gli impegni dichiarati sono praticamente raddoppiati). Detto ciò, sono stati inseriti dei paragrafi finali molto importanti e attuali che trattano le tematiche della migrazione, dell’intelligenza artificiale e dell’Europa nello scenario mondiale. Il processo di consultazione sta volgendo al termine, dopo un’ampia ricezione di commenti da parte delle Chiese, e a marzo verrà ufficialmente approvata la versione riveduta finale, la quale verrà firmata dai rappresentanti della KEK e del CCEE a Vilnius (Lituania) subito dopo Pasqua. La speranza è che questo documento aggiornato possa ancora interrogare e far convergere le chiese cristiane europee su temi affini che necessitano di un impegno concreto ed ecumenico nelle diverse realtà locali.
La riduzione dei finanziamenti da parte delle Chiese, che a loro volta affrontano crisi interne, rappresenta una sfida per il futuro della KEK. Ci sono strategie per garantire la sostenibilità delle attività e dei progetti in corso, oppure è arrivato il momento di rivedere le priorità?
La KEK vive un momento di riduzione dei finanziamenti da parte delle Chiese, spesso dovuto a meno disponibilità economica delle stesse, ma anche a un calo di impegno nell’ambito ecumenico. Questa è una grande sfida per un’organizzazione che fonda praticamente tutto il suo lavoro sulle quote donate dalle Chiese che ne fanno parte. Una strategia per fronteggiare la situazione potrebbe essere quella di rinsaldare le relazioni tra le Chiese (anche quelle di minoranza) e il lavoro stesso della KEK per recuperare il loro senso di appartenenza all’istituzione. Ciò detto, è anche necessario che la KEK sia in grado di focalizzare il proprio impegno su progetti concreti e sostenibili che rispondano il più possibile alle sensibilità delle Chiese membro.

A dicembre, la conferenza KEK a Varsavia ha evidenziato ancora una volta le diverse posizioni sulla guerra in Ucraina. Qual è stato il contributo specifico della KEK in questo dialogo? Ci sono prospettive concrete di maggiore convergenza tra le Chiese europee su questo tema?
La conferenza di Varsavia (9-11 dicembre 2024) è stato un vero e proprio evento sponsorizzato dalla KEK, come spazio d’incontro per le Chiese per riflettere e discutere insieme sulla pace in Ucraina. Non a caso, il titolo dell’evento è stato “Consultazione europea sulla pace giusta” (European Consultation on Just Peace). All’incontro hanno partecipato vari rappresentanti del panorama ecumenico (della KEK, del CEC), delle Chiese (ad esempio dall’Italia la pastora Letizia Tomassone e il pastore Luca Baratto in rappresentanza della Federazione delle chiese evangeliche in Italia – FCEI) e di varie Università europee. Al di là del discorso generale affrontato sulla pace giusta nelle relazioni internazionali e nel movimento ecumenico, ci si è focalizzati soprattutto sul caso della guerra tra Ucraina e Russia e il ruolo che le Chiese cristiane giocano in questo scenario di conflitto. Tanto che un’intera sessione è stata dedicata a interventi di esponenti di chiese ucraine di diverse confessioni e denominazioni cristiane. Si è anche discusso sulla strumentalizzazione della religione per giustificare le guerre, sul tema della legittima difesa, sulla giustizia trasformativa e sulla teologia della pace.
Per approfondire:
Consultazione europea sulla pace giusta – Chiesa Evangelica Valdese
Churches seek pathways to just peace in times of war | CEC Europe
Fra le altre iniziative che ha concretizzato la KEK ci sono i Pathways to Peace. Di cosa si tratta e a che punto siamo?
Il contributo che la KEK sta portando avanti attraverso il suo progetto Pathways to Peace è quello di favorire il dialogo tra le Chiese ortodosse ucraine, polarizzate esse stesse dalla guerra in corso, e di proporsi come mediatrice e promotrice di pace e riconciliazione. In questo senso, continuano gli incontri tra la KEK e l’Ukrainian Council of Churches and Religious Organizations (UCCRO), come l’ultimo avvenuto il 30 gennaio 2025 a Londra.
Chiese europee e ucraine proseguono gli incontri – Riforma.it
CEC president meets with UCCRO delegation | CEC Europe
Detto ciò, le posizioni delle Chiese, così come anche quelle dei singoli membri che ne fanno parte, sono diverse sulla questione. Credo che, in questo momento, le prospettive concrete di maggiore convergenza tra le Chiese europee siano quelle di essere solidali verso tutte le vittime del conflitto, di raccontare le storie (anche quelle più dolorose), sostenere chi si sta adoperando per costruire la pace e preparare il terreno per favorire la riconciliazione futura, specialmente per le giovani generazioni.