Roma (NEV), 2 aprile 2025 – Riportiamo di seguito il testo dell’intervista all’etnomusicologo Alberto Annarilli, in occasione della prossima presentazione del libro “Praises. Musiche e liturgie migranti nelle chiese cristiane migranti di Roma” (ed. NeoClassica). L’intervista realizzata da Luca Baratto, è andata in onda domenica 30 marzo su RAI Radio1, in chiusura del programma radiofonico Culto evangelico.
Venerdì 4 aprile si terrà a Roma, presso lo Spin Time Lab in via Santa Croce di Gerusalemme 55, alle ore 18, la presentazione del libro “Praises. Musiche e liturgie migranti nelle chiese cristiane migranti di Roma“. Curato dagli etnomusicologi Alberto Annarilli e Alessandro Cosentino, si tratta di una originale pubblicazione che esplora il mondo delle migrazioni, della spiritualità e della musica. Ne parliamo con uno dei due curatori, Alberto Annarilli.
Alberto Annarilli, di cosa tratta questo libro e qual è l’idea che l’ha fatto nascere?
L’idea di questo libro nasce da un incontro del Gruppo di ricerca dell’Università di Roma Tor Vergata che, già dal 2012, ha cominciato a fare queste ricerche che si chiamano “Roma sacra”, quindi un’indagine sulle comunità migranti cristiane di Roma; e la sensibilità del Centro culturale protestante “Martin Luther King” di Ariccia che ha voluto, attraverso i fondi del Ministero della cultura, dare vita a una pubblicazione collettanea che potesse mettere all’interno le diverse voci di queste comunità di ambito sia cattolico che protestante.
La musica nelle chiese è una espressione di spiritualità: nel canto si esprime la preghiera, la fede e la lode, il raccoglimento. Qual è il contributo delle chiese migranti alla spiritualità cristiana?
E’ sicuramente un contributo importante, perché fa scoprire, ma anche riscoprire, una spiritualità profonda nel cristianesimo che forse le chiese occidentali un po’ hanno perso o quantomeno se ne sono dimenticate. Il contributo che danno è sicuramente variopinto, eterogeneo. All’interno del libro c’è un saggio sulla comunità siro malabarese cattolica di Roma che, la domenica delle Palme, fa la sua via crucis nel centro storico della città. Quindi, nel Circo Massimo, per tutta via dei Fori Imperiali, dando una nota di colore anche grazie agli abiti, al corteo che fanno ma anche grazie alla musica che utilizzano e che risuona all’interno di queste vie in cui solitamente si sente soltanto il rumore del trasporto quotidiano della capitale.
Il libro si occupa di quattro comunità romane. Quali sono?
Le quattro comunità sono appunto quella siro-malabarese, composta da indiani cattolici di rito orientale; poi c’è la chiesa metodista proprio nel centro della città in via XX Settembre. Nel libro c’è poi uno studio sulla comunità cattolica filippina di Roma e uno su quella nigeriana di Roma. Per quanto mi riguarda, ho scritto il capitolo sulla chiesa metodista sulla chiesa metodista di Roma che, tra l’altro, quest’anno compie 130 anni dalla fondazione. Fu fondata nel 1895, quindi in una data importante perché all’epoca ricorreva il 25° anniversario della presa di Porta, Pia nella via che poi è stata chiamata via XX Settembre. All’interno di questa chiesa vediamo il convivere non solo della componente italiana che la che la costituisce, ma anche di un importante gruppo di fedeli filippini, coreani, ma anche malgasci oppure britannici. Una comunità dove si parlano diverse lingue: non solo l’italiano, l’inglese, il tagalog, ma anche diverse lingue musicali. All’interno dei culti si assiste a questa convivenza tra gli inni del Risveglio, quindi dell’Ottocento tipici della tradizione occidentale metodista, insieme a quelli ad esempio del Christian pop o del Praise and worship che invece vengono portati maggiormente dalla componente filippina. C’è questa eterogeneità, molto bella, all’interno del culto.
Cosa si sente di più nell’identità di queste comunità: l’appartenenza al mondo protestante o al mondo cattolico, oppure la loro origine geografica e culturale?

Su questo chi studia scrive molte e molte pagine. È un po’ entrambi questi aspetti. Da una parte, l’identità religiosa e quindi confessionale è molto forte: ci si ritrova all’interno di un Credo, ci si ritrova all’interno di una liturgia che magari è fissa, come nel mondo cattolico, oppure più libera come in quello protestante. Ma anche la componente migratoria è fondamentale. All’interno, ad esempio, di una messa, in una parrocchia dove sono presenti delle componenti nazionali diverse, tutti partecipano alla messa insieme, tutti si ritrovano in quella messa. Ma poi c’è anche il momento, magari in un altro giorno della settimana, in cui quella componente proveniente da quella nazione si ritrova per poter pregare e cantare nella propria lingua. I momenti della preghiera e del canto sono quelli che ci avvicinano di più a Dio e quindi si sente anche la necessità di farlo non solo nella propria lingua, ma anche attraverso il proprio modo di pregare che molto spesso è diverso da quello delle comunità italiane.