di Eugenio Bernardini
Roma (NEV), 21 aprile 2025 – Mai prima di lui un papa aveva osato o voluto scegliere il nome Francesco per il proprio pontificato. In quella sera del 13 marzo 2013 molti protestanti italiani, in particolare i valdesi, erano stati colpiti dalla scelta di quel nome che con ogni evidenza richiamava Francesco d’Assisi e le sue scelte religiose iniziate con una storia di conversione molto simile a quella che, pochi decenni prima, aveva compiuto Valdo di Lione, l’iniziatore del movimento valdese, e che con lui condivise l’idea di una chiesa al servizio degli umili e degli esclusi, ispirata e rinnovata dalla Parola di Dio. Se quella era la strada che papa Francesco voleva percorrere, gli evangelici italiani non potevamo che condividerla e sostenerla.
E la promessa di quel nome si è certamente concretizzata in dodici anni di pontificato. Non su tutti i piani però: il peso della biografia pesa su tutti, pesa la cultura da cui si proviene e che ha contribuito a formarti e anche le esperienze che segnano una vita, anche quella dei credenti più sinceri. Papa Bergoglio aveva avuto una formazione tradizionale e non lo si poteva definire veramente conservatore ma neppure veramente progressista. Sul piano etico, per esempio, faceva fatica a districarsi nella nuova sensibilità riguardo temi come la famiglia, l’interruzione di gravidanza, l’omosessualità, il fine vita, così come sul piano devozionale i suoi riferimenti sono rimasti quelli tradizionali del cattolicesimo romano. Ma anche in questi campi ha avuto un atteggiamento sobrio, aperto alla diversità, ha cercato più i valori condivisi che quelli divergenti.
Dove papa Francesco ha aperto i maggiori varchi è stato certamente nel campo del dialogo ecumenico e interreligioso e con i non credenti, e soprattutto in quello dell’organizzazione della struttura ecclesiastica cattolica, in particolare della curia romana. In questi campi si è mosso con la sensibilità non di un intellettuale o di un fine teologo (come il papa che lo aveva preceduto, Joseph Ratzinger) e neppure con quella di un dirigente ecclesiastico con una forte visione politica (come papa Wojtyla) ma con la sensibilità di un pastore capace di ascoltare e determinato ad aprire porte e finestre di una chiesa che, specie durante il pontificato di Ratzinger, sembrava incapace di affrontare qualunque rinnovamento e sfida del mondo.
Andare verso gli altri e nelle loro case e non aspettare che gli altri vengano da te e nelle tue case, accettare il dialogo e l’incontro anche con chi è diverso da te e ti contraddice, far prevalere la misericordia invece del giudizio, la sostanza più della forma. Il tutto accompagnato da un carattere molto “latino”, estroverso anche se a tratti timido, sorridente, che amava stare e apparire vicino invece che distante, insofferente per il protocollo imposto dal suo status che lui si divertiva a sconvolgere con continue sorprese, anche con scorribande improvvise in chiese, parrocchie, strade, in case private, come recentemente a casa dell’anziana leader radicale Emma Bonino. E soprattutto con un interesse vero e profondo per la persona che aveva davanti e che guardava negli occhi cercando la sincerità e l’amicizia, anche al di là di culture e fedi.
Che cosa resterà del suo pontificato? Impossibile dirlo oggi, dipende molto dalla scelta del suo successore. Le nomine di cardinali che ha fatte, insieme con quelle di vescovi locali, sono state quasi tutte (non tutte, ha fatto concessioni anche all’anima tradizionalista della sua chiesa) improntate a sostenere la sua linea di rinnovamento pastorale, ma quanto abbiano veramente inciso nel corpo poliedrico e resistente del cattolicesimo romano ce lo dirà il risultato del prossimo conclave. È quello che succede quando si è riformisti e non riformatori: benché accusato continuamente dai moderati della sua chiesa di voler protestantizzare il cattolicesimo romano, Bergoglio non è mai stato, né ha voluto essere, Martin Lutero. La sua pur efficace azione di rinnovamento, che certamente ha fatto guadagnare consensi a un cattolicesimo che appariva prima troppo chiuso e in ritirata, richiedeva un pontificato più lungo, una maggiore audacia per affrettare i tempi, e quindi oggi richiederebbe un successore con la volontà di muoversi sui suoi stessi passi.
Naturalmente, come protestante italiano, non posso che augurarmi che lo Spirito soffi con forza nelle stanze dove si prenderanno decisioni importanti, lasciando aperte quelle porte e finestre che qualcuno cercherà di chiudere invertendo la rotta di Francesco.