Roma (NEV), 30 aprile 2025 – Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Maria Elena Lacquaniti, Ambasciatrice di pace UCEBI (Unione cristiana evangelica battista d’Italia), nonché coordinatrice della Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
Lacquaniti, insieme a Eric Luzzetti, anch’egli Ambasciatore di pace UCEBI, ha recentemente terminato il tratto italiano della via Francigena. In questo scritto l’autrice ci accompagna per mano fra prati e strade, colori e grigiori. Con lei, incontriamo persone, insetti, alberi, fiori, vita e distruzione, dubbi e desideri, spazi e tempi in cui riflettere sulle nostre impronte. Essendo, ancora e sempre, su una soglia: fra antichità e modernità, fra estinzione e futuro.
In questi giorni con Eric abbiamo percorso un tratto della via Francigena, da Pont Saint Martin a Vercelli.
Iniziammo il cammino da Roma nel 2011 e almeno una volta l’anno dedichiamo le ferie ad una o più tappe. Finora lo abbiamo percorso tutto fino al confine Valle d’Aosta – Piemonte. Questa esperienza, che ci porterà a Canterbury, mette a contatto con natura ed umanità, paesaggi e percorsi, non sempre belli o accoglienti, gradevoli o semplici, ma che per la loro straordinaria diversità arricchiscono il bagaglio culturale di chi cammina, ecco perché ho tenuto a sottolineare che nessuna tappa è stata esclusa dal nostro itinerario. Se l’approccio alla Francigena è paziente e non competitivo, ovvero solo chilometri e tempo di percorrenza, lo sguardo cade su ciò che ti circonda e riconosci.
Il giallo della chelidonia, il rosso dei rododendri, i diversi modi di coltivare l’uva, su terrazzamenti o in pianura, a terra o a pergola, i frutti che boschi e campagne donano, fragole e lamponi, fichi, more, pere e mele selvatiche…
oppure scopri, anche con un po’ di ansia, come la natura sia resiliente di fronte ai cambiamenti climatici, con palme e canne di bambù altissime che si ergono accanto a querce e faggi. Anche i laghi donano sorprese e in quello di Viverone abbiamo avvistato uno strano uccello, con le sembianze di un’anatra, il becco lungo e fino, orecchie da Topolino e una coda che sembra quella di Pluto. Il cammino spesso ti porta a contatto con persone del luogo che descrivono con passione il proprio territorio, anche quando ai tuoi occhi nulla sembra offrire, oppure con “ostellieri ed ostelliere” che attendono l’arrivo con gioia, chiedendo come è andata e preparando una tisana e una buona fetta di ciambellone. E con artisti che dal riciclo di materiale naturale e vecchi attrezzi agricoli hanno arredato locande che divengono piccoli musei in cui passare la notte… Tuttavia, abbiamo anche conosciuto persone indifferenti all’esperienza, sia del viaggio che dell’accoglienza. Una riflessione è emersa durante questi giorni e il pensiero è andato più volte al 22 aprile, Giornata internazionale della Terra.
Credo che ci siano luoghi in cui l’equilibrio ecosistemico non sia stato compromesso dalla presenza umana e che questa utilizzi rispettosamente i doni che le vengono dall’ambiente circostante, come i “balmetti”.
Sistemi di refrigerazione presenti nelle abitazioni a ridosso della serra Morenica di Ivrea, che sfruttano l’aria fredda che proviene dalla serra o la raccolta di acqua dei ruscelli di montagna, dirottata in canali che raggiungono orti e vigneti. Oppure, l’ingegneria agricola di carrucole che sfruttando la pendenza fanno da mezzo di trasporto ad impatto zero di CO2. Man mano però che ci si avvicina alla linea di demarcazione tra la montagna e la pianura, questa cura spesso si perde. L’ambiente vegetale è sporcato dai rifiuti della nostra presenza ed inglobato in un circuito che spazia dal capannone in cemento alle coltivazioni di un solo colore, marrone quando è piantato, verde uniforme e monotono quando la pianta è cresciuta.
Pensando alla terra e ai piccoli luoghi che essa custodisce, sembra chiaro che più ci si avvicini alla dimensione urbana, più il rapporto uomo e ambiente si sfibra.
Ognuno fa il suo percorso, grandi foglie di malva riusciranno pure a crescere tra rifiuti e smog, ma gli insetti difficilmente porteranno a termine il loro ciclo di vita e questo, come sappiamo, segna il countdown della terra verso l’estinzione a partire proprio da noi. Il feedback che ho ricevuto dai piccoli luoghi, insieme di natura e abitanti, è di una resilienza che si fa resistenza pacifica e disarmata che chiede di essere vista ed ascoltata. Questo lavoro silenzioso, ricco di arte antica, tradizioni, cultura storica sostiene a piene mani l’impatto esplosivo che le città hanno ormai sul pianeta. Piccole opere fragili finora resistono, ma cederanno se non ci accorgeremo quale fatica e amore offrono all’intero Creato, mentre noi in città ne divoriamo pezzi.
In questi giorni, vicini alla Giornata della Terra, “sto leggendo l’Opera Panica di Alejandro Jodorowsky, poeta, regista, compositore, attore cileno – ha raccontato ancora Lacquaniti all’agenzia NEV -: L’opera è definita un cabaret tragico dove personaggi tragici ed al contempo comici portano all’attenzione, con il loro vivere, non poche storture della realtà quotidiana. L’artista Fernando Arrabal definisce il ‘Panico’ in relazione al dio Pan, che faceva ridere e causava improvviso terrore, il panico appunto. Secondo Arrabal ‘Panico è un modo di essere retto dalla confusione, l’humor, il terrore, il caso e l’euforia’. È un soggetto che Emanuele Bertolini in un saggio sul cinema di Jodorowsky del 1999, dice ‘temere ogni sbarramento al flusso continuo e irrefrenabile dell’esistenza. Ogni pensiero, concetto, definizione che limiti il cambiamento è da rigettare. L’uomo è ammalato di una malattia che lo rende inadatto al mondo. L’essere umano s’illude di poter intervenire sull’universo senza rendersi conto che non ha la possibilità di capirlo. È sostanzialmente un disadattato’”.
In che modo possiamo legare il cammino e la Giornata della Terra a Opera Panica? Nel quadro teatrale Avere o non avere si legge: “Amate il mio corpo, le mie gambe, i miei capelli? Me li taglio! Via, via il mio ventre, le mie ossa, la mia carne…” Ogni parte del corpo, ogni parte intima e vitale. Di questa persona, presumiamo una donna, non rimane nulla se non l’ultima flebile richiesta: “ora che mi sono tolta tutto ciò per cui mi amavate, abbiate pietà di me, amatemi! Affinché io abbia ancora un corpo”.
E se questa donna fosse il Creato, la Natura, la Terra?
La Terra, ricca di doni e meraviglie, sembra oggi spogliarsi di tutto ciò che la rende vitale: mari, montagne, fiori, alberi, creature. “La Giornata della Terra nasceva 50 anni fa, sulla spinta di milioni di manifestanti che, consapevoli del grave danno ambientale recato da guerre e sfruttamento industriale, chiesero a gran voce l’istituzione di una giornata mondiale per la terra, per portare alla luce le sofferenze del pianeta e dei suoi abitanti – ha proseguito Maria Elena Lacquaniti -. Fu la cosciente consapevolezza, civile e politica, dell’impronta antropocentrica pesante e dannosa arrecata al pianeta. Oggi sembriamo il Panico patologico sopra descritto. L’esistere, con tutti i vizi portati all’estremo, dove l’essere umano è patetico con i suoi falsi bisogni, rende il Panico un soggetto imprevedibile perché malato, inadatto al resto del mondo che pur vive ed esiste. Incapace di comprendere la complessità ecosistemica che gli gira intorno, che si regge sulla parola rispetto. Che vale avere tanto in bellezza, in colori, natura, suoni, aria, acqua, luce, notte, mari, monti, pianure, viscere, gemme, frutti, sabbia, fiori e ancora e ancora, se tu essere umano non mi ami? Se continui ad amare esclusivamente la tua comfort zone, in cui ti sei rinchiuso abbracciato dai tuoi vizi? Vedo la terra sventrarsi con eruzioni e sento il petto spaccato da tanto dolore, la terra che come un corpo si frantuma in terremoti devastanti. E ancora la vedo guardare le sue parti belle morire, desiderare di non averle più, e poi desiderare solo di essere, una volta, amata. Questo dono immenso che chiamiamo Creato è straziato e con esso le sue creature più indifese. L’ingiustizia regna e ruba la vita a bambini, animali, atomi di aria, insetti che non hanno fiori, alberi che non danno frutto, giovani donne che vorrebbero strapparsi le parti del corpo fertile, quando inizia una guerra; uomini che non smettono di affogare. Proviamo a guardare in faccia la realtà: siamo ancora in grado di sentire pietà per il Creato e di amare quel corpo vivente che Dio nella sua immensa luce ci ha donato e di cui siamo parte?”
Originale dell’opera di Jodorowsky: https://studylib.es/doc/6632670/alejandro-jodorowsky-opera-panica–cabaret-tragico-