Roma (NEV), 12 settembre 2025 – Il 13 settembre si inaugura a Revello (Cuneo) un nuovo ostello solidale per braccianti. “Gemello” di Dambe So Calabria, l’ostello è frutto del lavoro del programma rifugiati e migranti Mediterranean Hope (MH) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

Ad agosto, durante il Sinodo valdese, una delegazione ha visitato gli spazi, accompagnata dalla coordinatrice MH, Marta Bernardini, e dal presidente FCEI, pastore Daniele Garrone. Tra gli ospiti anche Albrecht Philipps, Responsabile per l’ecumenismo della Chiesa regionale della Vestfalia, al quale abbiamo posto alcune domande.
Guerre e migrazioni: due temi legati
Oggi il dibattito pubblico sembra spostarsi dalle migrazioni alla drammatica attualità delle guerre. Perché ritenete importante continuare a mantenere vivo questo impegno sui migranti? Perché continuare a sostenere Mediterranean Hope?
È vero che oggi il dibattito pubblico sembra concentrarsi soprattutto sulle guerre, spostando l’attenzione dalle migrazioni. Ma i due fenomeni sono strettamente legati: le guerre generano rifugiati. Se guardiamo a Ucraina e Gaza, Italia e Germania sono meno colpite dai flussi, ma in Africa ci sono conflitti meno visibili che alimentano costantemente le migrazioni. Non possiamo occuparci solo di guerra e pace ignorando i rifugiati.
Due anni fa ho visitato Lampedusa con Katja Breyer e i volontari di Mediterranean Hope. Al porto abbiamo visto persone arrivare senza nulla, spesso con bambini, a volte con morti a bordo. Dare loro un bicchiere d’acqua, un pannolino, un gioco o un libro è un gesto minimo ma prezioso. Questo lavoro, ai confini dell’Europa, è un impegno che colpisce profondamente.
Per questo il sostegno delle chiese tedesche ai corridoi umanitari è fondamentale. MH significa certo risorse economiche, ma anche mantenere viva l’attenzione in Germania su un tema che rischia di passare in secondo piano, in un clima politico segnato dalla svolta a destra. È compito delle chiese tenere al centro migrazione, rifugiati, coesione. È una sorta di braccio di ferro: non dobbiamo lasciarci spingere fuori dal tavolo.
Fondi e valore ecumenico
In Italia la Chiesa valdese, come anche altre chiese, può contare sull’Otto per mille, che sostiene iniziative sociali. In che senso il vostro contributo aggiunge valore o introduce un significato diverso? Si tratta solo di risorse economiche o anche di una testimonianza di comunione ecumenica?
Anche la gestione del denaro è un compito spirituale. L’ecumenismo significa sostenere ciò che serve all’umanità, secondo la visione cristiana. In Westfalia destiniamo il 3,25% della tassa ecclesiastica al lavoro ecumenico, con cui possiamo sostenere progetti comuni. Siamo anche in una posizione finanziaria relativamente buona. Non si tratta di “ricchi che aiutano i poveri”, ma di condivisione, con sensibilità e responsabilità ecumenica.
Dai valdesi riceviamo da decenni impulsi importanti per il nostro lavoro ecclesiale: progetti sociali pilota, ospedali, modelli che hanno influenzato la società italiana, e questo ci impressiona molto. Da queste esperienze traiamo spunti anche per il nostro lavoro locale. Penso al programma “Nest” (nido), in cui insieme ad altri attori sociali accogliamo rifugiati, in modo che non ricevano solo un tetto e denaro, ma siano davvero accolti nel sistema sociale.
Migrazioni come giustizia sociale

Il progetto di Revello nasce per offrire dignità e accoglienza ai braccianti agricoli. In che misura la vostra collaborazione vuole sottolineare che le migrazioni non sono solo emergenze, ma anche questioni strutturali di giustizia sociale e lavoro?
In passato ho visitato le attività che la Federazione realizza in Calabria e in particolare il progetto “Luci su Rosarno” mi ha colpito molto, così come la visita all’Ostello sociale “Dambe So” a Revello. Trovare una casa, il fatto che le persone abbiano davvero una abitazione dignitosa e non debbano vivere in container dove possono soggiornare solo per la durata della stagione e senza previdenza sociale, per poi ritrovarsi per strada: questo è un impegno importante, un passo fondamentale per la vita quotidiana delle persone.
Nei periodi di raccolta c’è bisogno di manodopera, quindi bisogna fare in modo che le persone possano davvero vivere qui, costruirsi una vita e integrarsi con le loro famiglie, vivere la propria cultura: tutto questo fa parte dell’essere umano, non sono qui solo per lavorare.
Altrimenti si tratta di una forma moderna di schiavitù, con salari pagati nel sud Italia per la raccolta delle arance o della frutta, affinché noi in Germania possiamo acquistare la frutta a prezzi convenienti. Anche la collaborazione con il sindacato ha dimostrato la complessità della situazione.
Tuttavia questo è il nostro compito, come scritto in Matteo 25: “Ero straniero e mi avete accolto”. È scritto nel nostro libro di “famiglia”, la Bibbia. Dobbiamo guardare a coloro che sono emarginati, ma non con un atteggiamento paternalistico, dicendo dall’alto “ti aiuto”, ma con le persone, per loro, insieme a chi ci è prossimo. Così il teologo e sacerdote anglicano Samuel Wells, che in Inghilterra ha lavorato con i rifugiati, ha descritto la diaconia e la carità, dicendo che Gesù ha vissuto con le persone e si è seduto a tavola con gli oppressi. Questo è un atteggiamento di carità diverso da quello che abbiamo spesso avuto nelle chiese nel corso dei secoli, un atteggiamento del tipo “noi sappiamo meglio”, “io so già cosa è bene per te, accettalo”, che spesso nascondeva un senso di superiorità.
Questo gioca un ruolo importante nell’intero dibattito sul colonialismo e il paternalismo. In questo senso, nella Chiesa possiamo ancora crescere e esercitarci a sviluppare un nuovo atteggiamento.
“Coscienza pulita” o responsabilità reale?
Una critica possibile è che il sostegno a progetti come quello di Mediterranean Hope serva, almeno in parte, a mantenere una “coscienza pulita” davanti alle difficoltà di accoglienza in Germania. Come rispondereste a questa obiezione?
Il lavoro di accoglienza va fatto e basta, non ci sono alternative. Il sostegno che viene dalla Chiesa valdese attraverso fondi dell’Otto per mille – ricordo che si tratta di una chiesa che ha una grande quantità di fondi rispetto al numero dei suoi membri – contraddice questa potenziale critica. Infatti questi fondi non vengono utilizzati per il mantenimento della Chiesa, ma in gran parte per il lavoro diaconale: trovo ciò molto significativo. Per questo motivo direi piuttosto che in Germania, ma anche in Italia, le autorità statali non adempiono abbastanza ai loro doveri, non assumono le loro responsabilità. La società civile deve essere forte e continuare a denunciarlo. Proprio nei sistemi che per decenni sono stati governati in modo autoritario vediamo come le forze sociali siano indebolite e dobbiamo quindi rimanere vigili e far sentire la nostra voce. Anche se a volte non veniamo ascoltati. Il mandato è contenuto nel nostro genoma cristiano: ci sono persone che hanno bisogno di noi. Non riesco a immaginare una Chiesa, anche se esistono Chiese di questo tipo, che non si dedichi all’impegno diaconale, ma dia più importanza alla tradizione liturgica. D’altra parte, la tradizione riformata è esemplare, poiché pone in primo piano l’amore per il prossimo, la capacità di predicare dei laici e l’indebolimento delle gerarchie. Lo si vede anche nel clima al Sinodo, dove si può sperimentare come le persone assumono con sicurezza le proprie responsabilità, cosa di cui oggi abbiamo bisogno più che mai e che non corrisponde tanto all’atteggiamento episcopale che, a volte, troviamo anche nelle chiese evangeliche.
Per saperne di più: Saluzzo, nasce un ostello per i lavoratori braccianti – Mediterranean Hope – MH

Intervista a cura di Georgia Betz; editing e adattamento a cura di Barbara Battaglia e Elena Ribet




























