Roma (NEV), 2 gennaio 2017 – “Un nuovo attacco ha colpito Istanbul, nuovi innocenti soffrono. Di fronte a una simile brutalità, le persone di fede e di buona volontà, l’intera famiglia umana deve riscoprirsi unita: nel rispetto, nella cura e nella protezione reciproca, unici antidoti alla violenza”. Con queste parole il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese, pastore Olav Fykse Tveit, ha commentato l’attacco terroristico che ha insanguinato la notte di capodanno del “Reina”, un rinomato locale alla moda collocato sulle rive del Bosforo, lo stretto che attraversa Istanbul separando l’Europa dall’Asia.
Sferrato da un solo uomo armato di kalashnikov – tuttora ricercato dalle autorità turche – e successivamente rivendicato dallo Stato Islamico, quest’ennesimo attentato ha causato 39 morti e 69 feriti, in larga parte stranieri: sauditi, giordani, libanesi, franco-tunisini, israeliani, belgi, indiani, iracheni, canadesi, kuwaitiani. “Un attentato particolarmente scioccante, perché mirato a colpire persone che si stavano semplicemente divertendo”, ha sottolineato il pastore Tveit, rimandando a quanto accaduto nel teatro Bataclan di Parigi la notte del 13 novembre 2015.
Salgono così a quindici gli attentati di diversa natura che dal giugno scorso hanno colpito il paese. Il massacro del Reina è il quarto in meno di un mese: poche settimane fa, sempre a Istanbul, una quarantina di persone, in maggioranza agenti di polizia, avevano trovato la morte in un doppio attacco dinamitardo sferrato dal gruppo terroristico curdo TAK nei pressi dello stadio del Beşiktaş. La notte di capodanno, a essere colpita è stata la Istanbul laica, turistica, internazionale. Ma questa volta per mano del terrorismo di matrice islamica.