Il Consiglio ecumenico delle chiese: armi nucleari, no grazie!

Soddisfazione del Consiglio ecumenico delle chiese per il Trattato anti-nucleare siglato lo scorso 7 luglio alle Nazioni Unite, e che nel preambolo sottolinea l’importanza del ruolo delle religioni che favoriscono "una presa di coscienza pubblica basata sui principi di umanità"

Il Palazzo di Vetro, sede delle Nazioni Unite a New York, USA

Roma (NEV/Riforma.it), 11 luglio 2017 – “Grande soddisfazione” è stata espressa dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) per il Trattato anti-nucleare siglato lo scorso 7 luglio alle Nazioni Unite. Un documento ufficiale significativo per l’alta adesione ricevuta: più di 120 Stati membri dell’ONU.

Molte organizzazioni della società civile e del panorama religioso hanno potuto condividere, in questi anni, l’elaborazione del testo che dallo scorso venerdì è giuridicamente vincolante, e che vieta l’utilizzo di armi nucleari e impone la loro progressiva eliminazione. Un testo che contiene nel preambolo l’importanza del ruolo delle religioni che favoriscono “una presa di coscienza pubblica basata sui principi di umanità”.

“Gratitudine” è stata espressa dal segretario generale del CEC, Olav Fykse Tveit: “il CEC auspicava che si potesse arrivare ad un Trattato anti-nucleare già in occasione dell’Assemblea generale tenutasi in Corea del Sud nel 2013. Allora ritenemmo prioritario difendere la vita e la creazione auspicando di poter giungere, quanto prima nel mondo, a una vera pace e non ad una pace apparente favorita dalla minaccia nucleare”. Il Trattato, prosegue Tveit, riconosce “le conseguenze catastrofiche delle armi nucleari e che queste trascendono dai confini nazionali”.

Dal CEC, poi, giunge una denuncia importante: “I nove Paesi con armi nucleari (Stati Uniti d’America, Russia, Regno Unito, Francia, Cina – cinque membri permanenti delle Nazioni unite – India, Pakistan, Corea del Nord e Israele, che non ha mai confermato né smentito di possederle, ndr) e i 30 paesi che cercano rifugio nel nucleare americano, hanno boicottato i lavori negoziali per un mese e si sono opposti, in parte, anche ai lavori preparatori di questi anni”.

Un percorso che, “seppur ad ostacoli”, è stato utile per far progredire “il dibattito internazionale oltre le strette prospettive di autoconservazione della tattica militare e dell’influenza politica. Strategico per trascinare il dibattito politico anche su questioni, per le chiese dirimenti, come i diritti umani e quelli etici”, ha dichiarato Peter Prove, direttore degli Affari internazionali del CEC.

Il Trattato chiede poi agli Stati che producono o eseguono sperimentazioni nucleari di “fornire la dovuta assistenza alle vittime di tali sperimentazioni e di adoperarsi al fine di risanare gli ambienti contaminati dalle radiazioni”.

Un successo storico per la dottoressa Emily Welty, vicemoderatora degli Affari internazionali del CEC “perché nel Trattato si riconosce la sofferenza, spesso inconsapevole, di coloro che sono colpiti dalle radiazioni in occasione di sperimentazioni o nella costruzione di armi nucleari” inserite “nella stessa categoria di altre armi indiscriminate e inumane come quelle chimiche e biologiche, le mine antiuomo o le munizioni a grappolo, mettendo così fine ad una pericolosa e ‘peculiare eccezione’”.

Ora il Trattato dovrà essere firmato e ratificato dai governi e potrà essere implementato.