“Ero straniero, l’umanità che fa bene”, confronto oggi alla Camera

A partire dalla proposta di legge di iniziativa popolare sulle “Nuove norme per la promozione del regolare permesso di soggiorno e dellinclusione sociale e lavorativa di cttadini stranieri non comunitari”, lanciata dalla campagna “Ero straniero”, si è svolto oggi alla Sala dei Gruppi di Montecitorio un confronto con politici e rappresentanti del mondo produttivo.

Roma (NEV), 11 luglio 2019 – Esistono due mondi del lavoro in Italia. Uno è quello degli “autoctoni”, l’altro è quello dei migranti: pagati mediamente 2-3 euro in meno all’ora, con minori forme di protezione sociale, meno stabili nelle forme contrattuali.
Di inclusione sociale e lavorativa dei cittadini stranieri si è parlato oggi, 11 luglio, in un convegno promosso alla Camera dei Deputati dalla campagna Ero straniero, alla quale aderisce e partecipa anche la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI), insieme a organizzazioni e associazioni che a vario titolo sono impegnate sui temi dei diritti umani.
L’iniziativa prende le mosse da una proposta di legge di iniziativa popolare proprio sui temi del lavoro che chiede, in sintesi, canali di ingresso per lavoro e possibilità di regolarizzare gli stranieri già presenti sul territorio.
La prima parte del confronto odierno, moderata dalla giornalista di Internazionale Annalisa Camilli, ha avuto come focus l’analisi della realtà italiana.

“Il lavoro dei migranti – ha spiegato Luigi Cannari, vice capo dipartimento economia e statistica della Banca d’Italia – non riduce il lavoro dei nativi, anzi, in alcune situazioni l’ingresso di popolazione straniera può favorire la partecipazione al mercato del lavoro, come nel caso dell’occupazione femminile. Vi è un’equivalenza tra contributi e ammontare pensioni: questo è un elemento di resistenza agli shock del nostro Paese. E in questo contesto, per i lavoratori di origine straniera, il saldo è positivo: quasi due miliardi di contributi versati all’anno dai lavoratori migranti”.
Claudio Ceccarelli, direttore Sistema integrato lavoro, istruzione e formazione dell’Istat, ha delineato un quadro dell’occupazione straniera in Italia: “a fronte di un calo demografico, negli ultimi quattro anni i nuovi cittadini per acquisizione della cittadinanza sono stati oltre 638mila e al 31 dicembre 2018 sono 5.255.503 gli stranieri in Italia”.
Chi viene in Italia, a quanto certifica l’Istat, “viene per lavorare” ma costantemente in condizioni inique rispetto agli italiani: “la retribuzione oraria mediana è sempre di 2-3 euro in meno per gli stranieri”.
Anche sul fronte della protezione sociale, la situazione dei lavoratori immigrati è sistematicamente sfavorevole.
Filippo Pagano, della direzione coordinamento metropolitano di Milano dell’Inps, ha confermato il gap nelle retribuzioni e illustrato i dati relativi a due terzi dei lavoratori di origine straniera non assicurati.
“Il 92 per cento è rappresentato da lavoratori dipendenti” ha spiegato Pagano. Ma resta il nodo dell’emersione dal lavoro nero, ovvero della regolarizzazione dei lavoratori: “Nel 2002, con la così detta legge Bossi-Fini, circa 210mila lavoratori sono stati regolarizzati; a distanza di 5 anni solo il 20 per cento degli emersi è rimasto nella stessa impresa”.
Dal lato delle imprese, secondo Massimo Marchetti, rappresentante dell’Area lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria, “fare una politica degli ingressi per l’Italia e non per l’Europa è miope. Un problema così grande e complesso impone uno sforzo di approccio a livello europeo”. Per il rappresentante di Confindustria, però, gli ingressi per motivi di lavoro attraverso il meccanismo della sponsorship o sistema a chiamata diretta, che la proposta di legge della campagna “Ero straniero” chiede di reintrodurre, sono da bocciare: “Non siamo molto convinti che le proposte contenute nella proposta di legge siano opportune. Ci vuole molto rigore dal nostro punto di vista”.
Un no alle sanatorie per chi già lavora in Italia, insomma, da parte delle aziende.
E uno dei settori in cui sono maggiormente impegnati i lavoratori stranieri è quello dell’agricoltura. Cinzia Pagni, imprenditrice agricola, CIA – Agricoltori italiani, ha confermato che “il 26 per cento dei lavoratori in agricoltura sono stranieri” e sottolineato la “disomogeneità interna al sistema-Paese Italia, che comporta una diversità anche per le imprese”. Poveri tra i poveri, insomma.
E se “il caporalato colpisce anche gli imprenditori seri”, la rappresentante degli agricoltori sostiene la reintroduzione dello sponsor, di fronte “se non ci sono delle regole chiare di emersione di questi “invisibili”, sono persone che esistono al di là delle regole che ci diamo”. Invisibili ma spesso anche visibili che spesso non vogliono far parte delle cooperative agricole, perchè “vogliono tornare a casa loro”.
Infine, Chiara Tronchin, ricercatrice della Fondazione Leone Moressa, a conclusione della prima sessione del convegno, ha snocciolato una serie di numeri sulla situazione demografica italiana: “dal 2011 400mila persone, giovani e laureati, hanno lasciato il nostro Paese. Nel 2050 aumenteranno del 47 per cento gli anziani”.
Se non ci fossero più flussi di immigrati, nel 2040 ci sarebbe un saldo negativo di 38 miliardi. Oggi ci sono due pensionati ogni tre lavoratori, nel 2050 il rapporto sarà di un pensionato ogni lavoratore.
Chi pagherà, allora, tutte queste pensioni, è abbastanza facile da capire.