#Thawra, rivoluzione. Cosa sta succedendo in Libano
La testimonianza di Simone Scotta, coordinatore degli operatori di Mediterranean Hope a Beirut, in Libano, a più di una settimana dalle prime proteste della popolazione in piazza.
Roma (NEV), 28 ottobre 2019 – #Thawra – rivoluzione, Ashaab yurid isqaat al nizam – il popolo vuole la caduta del sistema, Kollun yani kollun – tutti significa tutti. Sono solo tre dei tanti slogan che si stanno gridando nelle piazze di Beirut e di tutto il Libano da quando è cominciata la mobilitazione anti sistema. Oggi, a più di dieci giorni dall’inizio delle manifestazioni di piazza contro corruzione e carovita, in Libano, la protesta antigovernativa non si placa.
Ne abbiamo parlato con Simone Scotta, coordinatore di Mediterranean Hope, programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, a Beirut, in Libano, testimone in prima persona di quanto sta accadendo nel paese dei cedri.
Cosa sta succedendo ora?
“Qui a Beirut le manifestazioni continuano, vivissime e c’è un clima che potremmo dire di festa, in piazza, con tanta musica, tantissimi giovani, soprattutto dai 16 ai 30 anni, di tutte le religioni e le estrazioni sociali.
Non abbiamo assistito a nessun momento di tensione, abbiamo letto e sentito vari slogan contro il ministro degli Esteri e in generale contro tutta la classe politica. Ad oggi le proteste proseguono e il popolo – questo è quello che dicono a gran voce – vuole la caduta del sistema.
Abbiamo visto moltissimi spazi una volta abbandonati che stanno ospitando dibattiti, proiezioni, iniziative ed eventi. Camminando per le strade si vedono vecchi edifici pieni di gente: a Beirut mancano gli spazi pubblici, in molte zone la cementificazione è selvaggia. è quindi sicuramente interessante questa dinamica di riappropriazione degli spazi da parte della gente”. Le forze dell’ordine fino ad oggi hanno tenuto un profilo molto basso, tanto che si sono registrati pochi scontri, i militari sarebbero solo a protezione della folla che manifesta e simpatizzerebbero, a quanto riportano diverse fonti, per la protesta.
“Ci sono le donne che “fanno cordone”, i manifestanti si sono auto organizzati un servizio d’ordine. Sono in piazza tutte le donne, insieme, di tutte le religioni e le classi, una cosa che non si vedeva da anni, e che anzi forse non si è mai vista prima. La percezione è che si stia superando la fase della guerra civile, l’odio profondo che serpeggiava si è trasformato in una lotta comune, siamo davvero di fronte ad una possibile svolta per il paese.
C’è una larghissima partecipazione alla protesta, in piazza vanno famiglie con bambini, un’atmosfera di esaltazione generale e condivisione piena delle ragioni della mobilitazione.
La gente sembra persino più socievole del solito, c’è un clima positivo e tanto coinvolgimento”.
Com’è iniziata la protesta?
“La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’annuncio da parte del governo di mettere su una tassa sulle chiamate whatsapp, che vengono utilizzate moltissimo a causa degli alti costi della telefonia. Una proposta tra l’altro subito ritirata: ma la gente era già scesa in piazza, con le bandiere libanesi, contro tutti, contro tutti i leader e i partiti politici, a fronte di una forte crisi economica.
“Tutti significa tutti”, uno degli slogan, spiega proprio questo carattere antisistemico generale della protesta: “Ce l’hanno con tutta la classe politica, contro tutte le elites, i manifestanti puntano il dito contro tutti i leader partiti politici confessionali. I clientelismi e la corruzione dilaganti hanno stancato. Così come i privilegi garantiti ad alcune fasce e non a tutti, ad esempio nel sistema delle borse di studio erogate da alcuni partiti, in un Paese dove, pur venendo garantite tutte le libertà fondamentali, il diritto allo studio e alla sanità pubblica non sono pienamente riconosciuti”.
Le manifestazioni, la piazza, coinvolgono in qualche modo i migranti e i rifugiati presenti in Libano?
“Ci sono alcuni rifugiati o migranti siriani che partecipano alla mobilitazione, e molti palestinesi dei campi che stanno solidarizzando con la protesta. Il centro della città di Beirut, che è sempre stato un posto per lo più esclusivo o per turisti, sembra essere diventato un posto davvero per tutti”.
E il lavoro dei corridoi umanitari come procede?
“I nostri spostamenti sono un po’ rallentati dai blocchi nelle strade ma il lavoro continua, perché comunque non ci sono violenze né situazioni di tensione particolare e dunque ci sentiamo in condizioni di sicurezza e stabilità tali da poter proseguire l’organizzazione dei corridoi umanitari, gli incontri con i beneficiari e tutto il lavoro prima delle partenze delle famiglie da Beirut verso Roma”.
A fine novembre è stato confermato il prossimo arrivo, circa un centinaio di persone che partiranno per l’Italia, in sicurezza e legalità.
Si lasceranno alle spalle la Siria ma anche il Libano, un paese che li ha comunque accolti, nel bene e nel male, e che sta vivendo ora un momento epocale della sua storia, con una rivolta popolare senza precedenti.