Roma (NEV), 14 gennaio 2020 – L’Agenzia NEV ha intervistato il teologo valdese Paolo Ricca sul tema del celibato ecclesiastico e delle recenti richieste provenienti dal Sinodo dell’Amazzonia di aprire all’ordinazione degli uomini sposati.
Preti sposati, qual è la posizione dei protestanti?
La posizione è quella scelta dai Riformatori del XVI secolo che hanno ritenuto che non ci fossero motivi biblici o di altra natura perché i ministri, e in particolare i pastori di comunità, non fossero sposati. Quindi, i Riformatori stessi, senza eccezioni, si sono sposati. Lutero stesso, anche se a dire il vero si sposò molto tardi, è stato marito, divenendo poi padre di sei figli e figlie.
Joseph Ratzinger ha chiesto di togliere la sua firma dal libro del prelato guineano Robert Sarah, in uscita in Francia con titolo “Dal profondo del nostro cuore”. Nel volume è presente un saggio introduttivo del papa emerito che avrebbe scritto “non posso tacere”, chiedendo a papa Francesco di non permettere l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati proposta dal Sinodo sull’Amazzonia. Cosa ne pensa?
Io penso che il celibato sia una possibilità, sia per il cristiano qualunque, il cristiano laico, sia per il cristiano incaricato di un ministero, che sia un ministero sacerdotale, pastorale, diaconale, dottorale o altre forme di ministero apostolico.
È una possibilità, di cui la Bibbia parla. Gesù a quanto pare non era sposato, ma l’idea che ci sia incompatibilità tra matrimonio e ministero di qualunque natura, nella chiesa, e parlo di ministero maschile e femminile, perché questo vale ovviamente anche per le donne, è un’idea che non ha nessuna radice biblica.
Se uno sente di essere chiamato a una vita come single, come si dice oggi, come persona singola, bene. Nessuno lo vieta. È anche previsto nella lettera ai Corinzi al capitolo 7, dedicato a queste questioni.
È una possibilità che, per essere autentica, io penso debba restare libera. Nel momento in cui diventasse una legge, diventasse obbligatoria e si affermasse, come mi sembra sostenga Ratzinger, che c’è un rapporto ontologico, cioè di sostanza, tra celibato e ministero sacerdotale o pastorale (il quale verrebbe messo in discussione, anzi verrebbe negato o comunque irrimediabilmente compromesso dal fatto di avere un rapporto coniugale o matrimoniale), questa affermazione è assolutamente, secondo me, priva di qualunque fondamento biblico e dunque, con tutto il rispetto, priva di verità e di autorità cristiana. Non è una cosa che la fede cristiana deve accettare, questo è il punto. Non è una cosa a cui si deve obbedire in nome della fede.
Naturalmente tutte le posizione sono degne di essere meditate, non si disprezza nulla e nessuno, ma non mi sento di dire altro. È un’opinione rispettabile, come tutte, ma nulla di più. Un’opinione che non ha nulla di specificamente e autorevolmente cristiano.
Secondo lei il celibato ecclesiastico andrebbe abolito?
Quello che si deve abolire non è il celibato, ma l’obbligo del celibato. L’obbligatorietà è ciò che tradisce la natura stessa del celibato. Non che uno sia obbligato a sposarsi, ma l’obbligo del celibato è anche una violazione dei diritti umani.
Chiunque accetti questa legge lo fa volentieri, volenterosamente, per mille ragioni spirituali, religiose o non religiose. Però, così come è un diritto umano il celibato, così è un diritto umano il coniugio. Amare una persona è un diritto, non è un delitto. Tutti sanno che c’è l’attrazione dei sessi. Ed è una cosa sacrosanta, l’unica grazie alla quale l’umanità sopravvive. Senza essa, senza l’attrazione, non ci sarebbe futuro. Il matrimonio può complicare o risolvere problemi, come tutte le situazioni umane della vita. Non esiste una mistica del matrimonio, e neanche una mistica del celibato.
Cosa succederebbe se venisse abolito l’obbligo del celibato?
Se si arrivasse all’abolizione dell’obbligo di celibato sarebbe una liberazione. Si capirebbe in tutto il mondo che ministero e matrimonio (l’amore coniugale e familiare) possono coesistere, oppure no, ma non possono essere scelte imposte.
È chiaro che una vita familiare infelice, del pastore, o del prete, può riflettersi negativamente sull’esercizio del ministero, ma questo non giustifica imporre una scelta. Ratzinger sosterrebbe nel suo saggio che nell’Antico testamento i sacerdoti dovevano promettere di astenersi da ogni atto sessuale con la propria moglie, vivendo da fratello e sorella. Non lo sapevo, mi riesce molto strano crederlo, ma sarebbe una legge iniqua.
Dietro tutto questo c’è il sospetto, per non dire la convinzione, che la sessualità sia peccaminosa in sé, che qualunque atto sessuale tu compia, tu pecchi. Perché il peccato è lì da qualche parte, in modo misterioso. È un’idea antichissima, diffusissima anche nel cristianesimo e, forse, una delle ragioni per cui la rinuncia alla sessualità è stata capita come primo passo per la santità. Ma queste sono teorie fuori dalla sacra scrittura.
Io non ho una sapienza diversa da quel poco che posso capire dalla Bibbia, dove tutto questo non esiste. Pensiamo al Cantico dei cantici. È un manifesto della sessualità come grazia divina, uno dei più bei doni che l’umanità possa sperimentare.
Paolo Ricca, teologo, pastore valdese, professore emerito della Facoltà valdese di teologia, ha pubblicato numerosi saggi e volumi, fra cui il libro “Da monaco a marito. Due scritti sul matrimonio (1522 e 1530) di Martin Lutero”, edito da Claudiana.