La resistenza delle donne coreane per arginare il patriarcato militarizzato

Prima, durante e dopo la brutale guerra di Corea, la schiavitù sessuale ha colpito pesantemente migliaia di donne coreane che hanno vissuto per decenni sotto un brutale patriarcato

Foto Paul Jeffrey - CEC, 2017

Roma (NEV), 22 luglio 2020 – Le loro storie sono venute alla luce durante una visita del Women of Faith Pilgrim Team dal 13 al 15 luglio scorsi, quando donne di tutto il mondo si sono riunite online e di persona per condividere il peso dell’oppressione.

Moon Sook Lee

La pastora Moon Sook Lee, membro dell’unione femminile del Consiglio nazionale delle chiese in Corea, ha parlato di come le donne abbiano subito abusi sessuali e schiavitù sia durante l’occupazione giapponese sia durante la guerra di Corea.

“Molte persone sono morte, sono state ferite o hanno perso le loro famiglie, ma le donne hanno dovuto soffrire il doppio e il triplo del dolore – ha dichiarato Moon Sook –. Le guerre sono ancora in corso in molti paesi, e ci sono molte donne che soffrono più della morte”.

Il 15 luglio, nel corso di una manifestazione del gruppo Justice for the Comfort Women, si è rimarcata la persistenza delle ferite della schiavitù sessuale: era la 1.448^ marcia del genere.

Trent’anni fa, 37 organizzazioni religiose e femminili si sono riunite per organizzare il Consiglio coreano per la giustizia e la memoria sulle questioni della schiavitù sessuale militare. A partire da allora, il gruppo ha denunciato al mondo la brutalità dei “bordelli militari” giapponesi nella prima metà del XX secolo, che portò alla coercizione di donne coreane e altre donne nelle colonie.

“Fino ad oggi, non solo abbiamo combattuto per ripristinare la dignità e i diritti umani delle vittime che sono state violate, ma abbiamo anche lavorato attivamente per ripristinare la verità e farla raccontare”, ha dichiarato il gruppo in una conferenza stampa tenutasi in occasione della manifestazione, nel corso della quale sono stati stigmatizzate l’ottusità del governo giapponese e l’indifferenza del governo coreano in proposito.

Portare resistenza e speranza

Il Team delle donne di fede è stato anche testimone di quanto resilienza e speranza, alimentate da diverse organizzazioni coreane, gettino una luce per la giustizia e la pace: dal lavoro delle donne ecumeniche coreane a My Sisters’ Place, uno spazio di guarigione per le donne traumatizzate dalla violenza sessuale della prostituzione.

Dopo il loro ritorno in Corea dal Giappone, le donne di “compagnia” che erano state costrette alla schiavitù sessuale per i soldati giapponesi sono state stigmatizzate nella vergogna. Sono state sepolte senza cerimonie in tombe senza nome, i loro nomi sono stati cancellati e le loro storie dimenticate.

La stigmatizzazione e gli abusi non si limitarono solo al dominio giapponese, poiché l’inizio della guerra di Corea e la militarizzazione portarono al perpetuarsi della prostituzione intorno ai campi base dei soldati americani che mantenevano la pace. La prostituzione continua ad essere un modo per “compensare” i soldati che vivono nei campi base nella penisola coreana, dove le donne dei villaggi vicini alle basi militari lottano contro malattie croniche nel disprezzo e nella discriminazione.

La Chiesa ha risposto alla crisi con la fondazione della Sunlit Sisters’ Social Welfare Association, un’organizzazione ecumenica per fornire sostegno alle donne anziane costrette a prostituirsi per aiutarle a vivere in modo più umano. La Sunlit Sisters’ Social Welfare Association si incontra regolarmente con le lavoratrici del sesso, in un contesto dove spesso le figlie femmine di famiglie povere sono state costrette alla prostituzione per sostentare gli studi dei fratelli o le stesse famiglie.  Eun Jin Kim, che dirige l’organizzazione DuReBang, ha stimato che più di 200.000 lavoratrici del sesso vivevano nei villaggi dei campi vicino alle basi militari statunitensi. DuReBang significa “un luogo dove le donne si aiutano a vicenda e un posto dove riposare”, e offre spazio e opportunità alle donne dei campi per riunirsi e liberarsi dall’oppressione.

Arginare la marea dell’ingiustizia

La visita del Team delle donne ha evidenziato l’urgenza di azioni per la giustizia, attraverso programmi che includono la campagna del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) come i Giovedì in Nero per un mondo libero da stupri e violenze.

Il patriarcato abusante deve essere fermato, in Corea e in tutto il mondo, ha detto la vice segretario generale del CEC Isabel Apawo Phiri. La violenza contro le donne colpisce in tutto il mondo. Nel 2017 e nel 2018, in occasione di una visita del Team, Phiri ha ascoltato donne provenienti da paesi africani raccontare storie di violenza domestica e istituzionale: donne costrette alla prostituzione per sfamare le loro famiglie, ragazze costrette a matrimoni precoci per “proteggerle” dagli stupri dei soldati. Nel 2018, in Colombia, il Team ha raccolto le storie di violenza sessuale da parte del governo e dei guerriglieri. “In Bangladesh abbiamo sentito storie di donne il cui volto è stato sfigurato con l’acido dai loro coniugi o dai loro stupratori – ha detto Phiri -. Nel 2019, quando abbiamo visitato il Sudafrica e nel 2020, quando abbiamo visitato le Figi, abbiamo sentito altre storie di donne che sono state uccise dai loro partner”.

Una “marea di ingiustizie da arginare – ha concluso Phiri -. Cominciamo a guardare alla Santa Cena come al simbolo dove la frattura del patriarcato riceve guarigione e dove riceviamo la visione di un mondo alternativo, dove celebrare i nostri corpi fisici e spirituali e la nostra connessione”.

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