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Enciclica “Fratelli tutti”, Glam: religioni al servizio della fratellanza e della giustizia

L'analisi della Commissione ambiente e globalizzazione della FCEI sull'ultimo "manifesto" sociale di Papa Francesco, firmato pochi giorni fa ad Assisi

Di
Agenzia NEV
-
6 Ottobre 2020
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    foto Dan DeAlmeida, unsplash.com

    La Commissione Globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in italiane (FCEI) sulla enciclica “Fratelli tutti” –

    Fraternità e amicizia sociale

    Un testo che parla dell’amore fraterno nei rapporti umani e del dialogo sociale basato sulla amicizia performati sul modello del samaritano raccontato da Luca 10,25 ss, che rimanda alla samaritana di Giovanni 4 e alla sua teologia.

    Un documento di dialogo interreligioso tra Santa sede e Islam sunnita nella persona di Ahmad Al-Tayyeb, (professore di filosofia e teologia e oggi imam di una moschea-università del Cairo), sotto forma di lettera pastorale  all’umanità, in forza della “chiamata a incarnarsi in ogni situazione e presente attraverso i secoli in ogni luogo della terra – questo significa cattolica” (278) che la chiesa cattolica rivendica per sé.

    Un appello al recupero della dimensione comunitaria dell’esistenza, a ricomporre un ‘noi’ che abiti la casa comune.

    Seguendo il filo tracciato dai titoli dei paragrafi, alla perdita della solidarietà umana, alla “chiusura del mondo”, concorrono vari fattori di tipo culturale (una colonizzazione, la “globalizzazione uniforme”, il decostruzionismo, la fine della coscienza storica e del pensiero critico) ed economico (la globalizzazione di mercati e la loro libertà senza una rotta comune che ha subordinato la politica e produce lo ‘scarto mondiale’ costituito dalle persone impoverite,  emarginate e migranti, avvalendosi di conflitto e paura, aggressività senza pudore, illusione della comunicazione, informazione senza saggezza, sottomissioni).  Ma anche la proliferazione delle guerre con armi nucleari, chimiche e biologiche sempre più distruttive.

    Chiamandosi fuori come un auditor di terza parte, l’enciclica sollecita a “pensare e generare un mondo aperto” qui e ora ripartendo dal fattor comune, la profonda coscienza della comunanza di specie, ovvero la fratellanza,  una metafora che la storia biblica potrebbe dissuadere dall’osare,  da vivere in forma di amicizia sociale basata sull’amore ricominciando dalla verità “Nuovo incontro non significa tornare a un momento precedente ai conflitti. Col tempo tutti siamo cambiati. Il dolore e le contrapposizioni ci hanno trasformato. Inoltre, non c’è più spazio per diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la realtà”.(226)

    Il richiamo è al Sud Africa di Desmond Tutu a cui viene riconosciuto esplicito riferimento insieme a Martin Luther King, il Mahatma Gandhi e il Beato Charles de Foucauld (286).

    “Percorsi di un nuovo incontro” è infatti il titolo di un capitolo dedicato all’’artigianato della pace” e quindi  ai conflitti, le lotte legittime, il perdono, la memoria, la guerra a cui viene sottratta ogni legittimità.

    Nel suo appello, il testo richiama alcuni fondamenti della modernità: l’illuminismo (libertà, uguaglianza, fraternità), l’universalismo dei diritti e il dialogo multilaterale (“bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale”.[238] Voglio rilevare che i 75 anni delle Nazioni Unite e l’esperienza dei primi 20 anni di questo millennio mostrano che la piena applicazione delle norme internazionali è realmente efficace, e che il loro mancato adempimento è nocivo”(257), la Costituzione italiana art. 42 (rispetto alla funzione sociale della proprietà).

    Infine e in chiusura l’enciclica rivendica non solo per la chiesa cattolica ma per le religioni un ruolo al servizio della fraternità nel mondo e della difesa della giustizia nella società rendendo presente Dio per il bene delle società che si sono allontanate dai valori religiosi, occupando lo spazio pubblico. “Benché la Chiesa rispetti l’autonomia della politica, non relega la propria missione all’ambito del privato. […]  La Chiesa “ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione” ma che si adopera per la «promozione dell’uomo e della fraternità universale” […] “vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità […] per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione» (276), delegittimando la violenza fondamentalista, e nel dialogo ecumenico (“chiediamo a Dio di rafforzare l’unità nella Chiesa, unità arricchita da diversità che si riconciliano per l’azione dello Spirito Santo (280) e interreligioso (“la Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre religioni” (277).

    Il tema di come le religioni occupano la sfera pubblica è per noi di particolare rilevanza, con riferimento a quelle chiese che entrano direttamente nell’arena politica, peraltro a sostegno di governi che non hanno rispetto per la vita e la dignità delle persone né per gli ecosistemi e la biodiversità.

    Complessivamente, per quello che dice, il messaggio recepisce e rilancia da un lato il giudizio critico sulle forze che governano il mondo e dall’altro l’anelito diffuso nella società civile ad una ricomposizione dei soggetti e delle battaglie richiamandosi al cosiddetto bene comune.

    Proprio l’esperienza della emergenza sanitaria avrebbe potuto indurre a dare maggiore enfasi al rapporto tra la giustizia economica e climatica, alla fratellanza umana come imprescindibilmente inserita nella comunità della creazione, mentre le sono dedicati solo alcuni passaggi sulla casa comune e sulla aggressione economica e militare. 

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