Irpinia, una storia che ci appartiene

Il 23 novembre cade il 40^ anniversario del disastroso sisma che rase al suolo interi paesi, provocando quasi tremila morti, più di ottomila feriti e 300mila senzatetto. Una riflessione del pastore Luca Maria Negro, presidente della FCEI

Roma (NEV), 18 novembre 2020 – Il terremoto dell’Irpinia di 40 anni fa arrivò con una violenza a cui nessuno era preparato. In poche ore fu chiaro che una vasta regione dell’Italia meridionale era totalmente distrutta e che il Paese doveva fare appello a tutte le sue energie per affrontare una tragedia che, nella storia del dopoguerra, non aveva precedenti.
In quel frangente anche la Federazione delle chiese evangeliche volle fare la sua parte organizzando i primi soccorsi; si mossero i giovani della Federazione giovanile evangelica (FGEI) ma anche varie comunità locali, i responsabili dei Centri giovanili, numerose opere diaconali.
Fu uno sforzo corale senza precedenti che, in breve, rese possibile varie interventi di soccorso alcuni dei quali si radicarono e s protrassero oltre la prima emergenza: mi piace ricordare la “tenda” di Senerchia dove per mesi si servirono pasti caldi alle persone rimaste senza casa o il lavoro sviluppato a Ruvo del Monte dove decine di volontari evangelici italiani e di tutto il mondo animarono un programma rivolto a ragazzini che, oltre che la casa, avevano perso anche la loro scuola.
Ma quella fu solo la prima fase di un intervento che – fu subito chiaro – si voleva proseguire nel tempo: e proprio per dare coerenza e continuità all’impegno fu istituito il Servizio di Azione Sociale (SAS). Le chiese sorelle di vari paesi europei furono pronte ad accompagnare la FCEI e le chiese che la compongono in progetti di più lungo periodo. L’idea guida era che non andassero ricostruite soltanto le case ma anche il tessuto economico, sociale e culturale di quella zona. E nacquero, sostenute dalla Federazione, cooperative agricole, villaggi abitativi, centri di incontro. Ricordiamo quello di Monteforte Irpino, nei pressi di Avellino; e di Napoli Ponticelli, dove ancora oggi sorge il Centro sociale Casa Mia – Emilio Nitti. Altre iniziative si sono esaurite nel tempo, altre si sono trasformate. Ma la chiara intenzione della FCEI era di dare continuità a questo impegno nel Mezzogiorno nella speranza che, proprio a partire dalla tragedia del terremoto, potesse crescere il germoglio di una nuova società civile, liberata dai ricatti delle clientele e delle superstizioni, capace di promuovere imprese sostenibili e produrre una nuova qualità dello sviluppo. La critica esplicita era al modello decadente delle “cattedrali del deserto” con il quale il Mezzogiorno – questo il linguaggio del tempo – era stato ripagato per il suo ritardo nello sviluppo. Partì quindi una terza fase, di analisi e di studio che produsse convegni, libri e una messa a punto dei vari interventi.
Difficile fare un bilancio di quella stagione, molto importante per la vita della FCEI. Il bilancio economico di quell’impresa è decisamente in rosso: alcune iniziative, soprattutto economiche, fallirono; altre non sono cresciute; solo qualcuna, nel tempo, ha saputo reinterpretarsi e ancora oggi riesce a offrire un servizio prezioso. Ma poi c’è anche i bilancio etico di quei mesi, e il discorso si fa diverso. In quel frangente, forse come non era mai successo, gli evangelici italiani fecero qualcosa insieme e seppero dare con efficacia il loro contributo a un grade progetto di ricostruzione nazionale. Tanti giovani di allora si formarono proprio tra le tende dell’Irpinia e le chiese che compongono la Federazione capirono l’importanza dello stare insieme e di darsi strumenti comuni di lavoro. Per la FCEI fu anche un’occasione di testimonianza e di predicazione al Paese nella convinzione che una vera ricostruzione non riguarda solo le pietre ma deve coinvolgere i cuori e le coscienze. E quella indimenticabile lezione resta viva ancora oggi.