10 anni di papa Francesco: “Una persona che crede in Dio”

L’atmosfera di inizio pontificato, le reazioni nel mondo protestante, i ricordi del pastore Massimo Aquilante, all’epoca presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), con uno sguardo sul presente e sul futuro del cristianesimo e dell’ecumenismo

Foto di Pietro Romeo/Riforma

Roma (NEV), 8 marzo 2023 – 10 anni di papa Francesco. La scelta del nome, legato a una via di povertà. La croce di ferro, anziché d’oro. Appellarsi urbi et orbi come “vescovo di Roma”. Il richiamo evangelico all’amore e alla misericordia. La sensazione che stesse per aprirsi una “transizione” nella cristianità. Questi sono solo alcuni degli elementi che caratterizzarono, nel 2013, le reazioni del mondo sul nuovo papa. Sul bollettino NEV e sul settimanale Riforma di dieci anni fa si raccoglievano le voci delle chiese protestanti italiane, europee, mondiali e in particolare latinoamericane.

Alla celebrazione di inizio pontificato, in Vaticano, erano presenti 33 delegazioni di chiese cristiane e del movimento ecumenico. All’insediamento, per la prima volta dallo scisma del 1054, anche Bartolomeo I, il Patriarca di Costantinopoli. E poi, fra gli altri, Olav Fykse Tveit, allora Segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), rappresentanti della Federazione luterana mondiale (FLM), dell’Alleanza battista mondiale e della Conferenza delle chiese europee (KEK).

Il teologo valdese Paolo Ricca commentò l’omelia così: “Tenerezza, amore, attenzione all’altro. Tutti temi evangelici. Parole belle, che fanno del bene a tutti noi proprio perché sono le parole dell’Evangelo”. L’allora moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini, scrisse a Francesco una lettera, che esordiva “Caro fratello in Cristo”. E ricordava le analogie tra Francesco d’Assisi e Valdo di Lione, che circa negli stessi anni condividevano “l’idea di una chiesa al servizio degli umili e degli esclusi, ispirata e rinnovata dalla Parola di Dio”. Bergoglio conosceva già la chiesa valdese, che con l’emigrazione dal Piemonte si era insediata oltre un secolo fa tra l’Argentina e l’Uruguay. Una intensa relazione di amicizia legava inoltre Jorge Mario Bergoglio al pastore valdese Norberto Bertón, scomparso nel 2010.

Fra le reazioni all’inizio del pontificato, l’agenzia NEV raccolse anche quella della pastora Maria Bonafede, che era nel Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), della pastora battista Gabriela Lio, del teologo Fulvio Ferrario. E un editoriale di Sergio Rostagno, dall’emblematico titolo “Francesco?”. Si parlava di luci e ombre, delle ambiguità relative ai rapporti con la dittatura in Argentina, ma anche di sobrietà, di speranze per l’ecumenismo e di cammini comuni verso l’affermazione dei diritti umani e per la lotta alle povertà.

Abbiamo chiesto al pastore Massimo Aquilante, all’epoca presidente FCEI, di raccontarci l’atmosfera di quel momento.

“Ricordo tre cose di quel periodo – dice Aquilante –.  Subito dopo l’elezione, nel mondo protestante ci furono reazioni caute che, tuttavia, sottolineavano come una novità l’elezione di un papa che viene dal sud e la sua conoscenza dei pentecostali dell’America Latina. Inoltre, si commentò molto la scelta di chiamarsi Francesco da parte di un gesuita.

Il secondo ricordo è legato al convegno con Lucio Caracciolo, Paolo Naso, Nunzio Galantino – presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI) – e altri. Limes era uscito con un numero monografico dedicato a Bergoglio. Venne fuori che papa Francesco è una persona che ‘crede in Dio’. Come per dire che questo papa non era semplicemente un politico, come fu Woytila, o un cattolico ortodosso, come Ratzinger. Bergoglio è quindi un credente ‘normale’. Questa cosa mi ha colpito, e sarei disposto a confermarla, ad esempio pensando alle meditazioni del mattino che papa Francesco ha fatto durante la pandemia. Come protestanti potremmo essere tentati di non ascoltare un papa proprio ‘in quanto papa’, ma a me sembra che Bergoglio sia prima di tutto un uomo di fede, e certe sue scelte lo dimostrano. Ci lega, quindi, un filo che riguarda la nostra comune appartenenza a Gesù Cristo.

In terzo luogo, vorrei ricordare la storica visita di papa Francesco al tempio valdese di Torino, in cui chiese perdono ai valdesi da parte della Chiesa cattolica. Gesto che portò con sé critiche e opposizioni interne, al quale ne seguirono altri, a conferma della sua attenzione e sensibilità verso il mondo evangelico ed evangelicale”.

Insomma, a pochi mesi dal Sinodo dei vescovi e sull’onda di quello che si potrebbe definire un inedito cammino sinodale, il bilancio di dieci anni di pontificato di papa Francesco si direbbe positivo. Conclude Aquilante: “Ci si aspettava una persona che potesse dare una svolta al cammino ecumenico. Dopo dieci anni lui ci prova ancora, avendo a cuore i temi della misericordia e della carità. I vescovi hanno una grande consapevolezza storica, ora si tratta di portare questo messaggio alla base del cattolicesimo, in particolare italiano, per una trasformazione profonda della teologia e della spiritualità. Come credenti, infatti, dovremmo cercare di superare le contraddizioni che vedono da un lato gli alti pronunciamenti e dall’altro un popolo cristiano non sempre al passo con i tempi”.