Commissione bioetica della Tavola valdese sul ddl Calabrò

"Una legge 'contro' il testamento biologico", "ambigua" e "intransigente"

Roma (NEV), 9 marzo 2011 – La Commissione bioetica della Tavola valdese lo scorso 7 marzo è intervenuta nel dibattito sul testamento biologico con una presa di posizione che riassume quanto già espresso a più riprese da diversi esponenti del protestantesimo italiano.

Mentre alla Camera dei deputati si svolgeva la prima discussione del controverso ddl Calabrò, la Commissione bioetica – composta da una dozzina di teologi, giuristi, medici, scienziati e ricercatori valdesi, metodisti e battisti – ha diffuso il seguente comunicato stampa:”La Commissione bioetica della Tavola valdese, in conformità con le posizioni espresse dal Sinodo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi del 2007, negli ultimi anni ha sollecitato più volte l’approvazione di una legge sulle direttive anticipate di fine vita da parte del Parlamento italiano. Con rammarico, dobbiamo tuttavia constatare, come già stato fatto da altri, che la legge Calabrò, che riprende l’iter in seconda lettura alla Camera dei Deputati, è una legge contro il testamento biologico e non una legge sul testamento biologico. In primo luogo, l’esclusione di idratazione e alimentazione artificiale – equiparate a misure di assistenza ordinaria – dalle questioni oggetto di decisione, è figlia di un’impostazione culturale arretrata e marcatamente ideologica, in contrasto con le indicazioni delle Società Neurologiche e delle Società di Cure Intensive e Palliative internazionali. A ciò si aggiunga l’ambiguità su un punto fondamentale come la decisione in merito alla sospensione delle terapie, sul quale viene richiesto al (futuro) paziente di esprimersi, salvo demandare la decisione ultima al medico, che ha facoltà di scegliere se ‘seguire o meno’ le indicazioni contenute nelle direttive anticipate. Si aggiunge, infine, l’articolo che introduce il divieto di eutanasia anche attraverso ‘condotte omissive’, articolo che priva il cittadino del diritto all’autodeterminazione in materia sanitaria, senza chiaramente specificare cosa si intenda per eutanasia passiva, cosa configuri accanimento terapeutico, cosa significhi trattamento sanitario ‘sproporzionato’. Quest’ultima espressione, in particolare, è in sé pericolosamente ambigua, poiché non si chiarisce se la sproporzione di un trattamento venga intesa in senso medico, oppure in relazione al giudizio del singolo sulla dignità e qualità della propria vita. Non esiste un principio assoluto al riguardo, e il giudizio andrebbe lasciato al paziente, che, esercitando la propria libertà di cura, decide se accettare o meno le terapie. Posizioni così intransigenti, come quelle espresse nella legge, non si confrontano con la complessità delle esperienze della vita umana, e tendono ad uniformarla a un principio astratto: esse non rappresentano dunque semplicemente una grave violazione del principio di laicità dello Stato, ma incarnano la paura della libertà individuale, indebitamente e strumentalmente equiparata all’arbitrio soggettivo”.

Per maggiori informazioni: www.chiesavaldese.org/pages/attivita/bioetica.php