È arrivata Falak

La buona notizia è che Falak sta meglio. Arrivata in Italia da Beirut giovedì scorso era stata immediatamente ricoverata all’Ospedale Bambin Gesù di Roma per verificare se il suo tumore, che le aveva già rubato un occhio, fosse esteso ad altre parti del corpo. I primi esami sono rassicuranti e la piccola di sette anni ha iniziato un routinario ciclo di chemio.

Falak e la sua famiglia sono originari di Homs, Siria, dove la guerra dell’Isis ha distrutto loro la casa, il lavoro ed ogni speranza di poter rimanere nella loro terra. Profughi in Libano, in quattro hanno vissuto per due anni in un tugurio umido e pericoloso nella periferia di Beirut, con la piccola malata e bisognosa di cure alle quali non poteva accedere. Sono arrivati in Italia grazie ai “corridoi umanitari” aperti sulla base del protocollo di collaborazione tra la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), la Tavola valdese e la Comunità di Sant’Egidio da una parte e i Ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri dall’altra.

A breve, altra buona notizia, è previsto l’arrivo in Italia di un altro gruppo di circa 80 profughi – in prevalenza siriani e iracheni – che hanno già avviato le procedure di richiesta di visto per “protezione umanitaria” presso la sede consolare libanese. E’ questo infatti il “dispositivo” legale che consente l’apertura del “corridoio” e al quale la FCEI e la Comunità di Sant’Egidio si sono appellati per avanzare la loro proposta.

Oltre che dal Libano, il protocollo prevede l’apertura di corridoi umanitari dal Marocco e dall’Etiopia, per un totale di 1000 casi. Una goccia nell’oceano, si potrebbe osservare, ma che al momento costituisce l’unico canale migratorio alternativo a quello criminale e omicida degli scafisti. Il progetto “corridoi”, insomma, non è “la soluzione” alla sfida migratoria di questi anni ma una “buona pratica” che suggerisce un approccio radicalmente diverso da quello attuale. Questa iniziativa infatti – ed è il primo aspetto che la caratterizza – sposta l’accento dalle strategie attualmente privilegiate di sicurezza e di blocco dei flussi, a quelle umanitarie e di accoglienza programmata. Inoltre – secondo aspetto non trascurabile data la sensibilità dell’opinione pubblica al tema – consente l’arrivo in Italia di persone perfettamente identificate e quindi nel massimo rispetto delle norme di sicurezza. La polemica sui “clandestini” perde così ogni consistenza. I corridoi umanitari – terza considerazione – hanno come fondamento giuridico una norma esistente che però in Europa non è mai stata applicata. L’unico precedente, ma con un differente dispositivo di legge, risale ai primi anni ’90, al tempo delle massicce ondate migratorie dall’Albania seguite al crollo del regime di Enver Hoxha.

In un momento di immobilismo dell’azione politica dell’Unione europea sul tema esplosivo ed urgente delle migrazioni globali, la proposta di “corridoi umanitari” – vogliamo sottolineare – è quindi estensibile a numeri più alti e duplicabile da parte di qualsiasi altro paese dell’area Schengen. Già oggi. Ed è per questo che la FCEI e la Comunità di Sant’Egidio stanno attivando i loro contatti europei per provare a condividere ed estendere questa “buona pratica”. Le prime risposte giunte da organismi ecumenici come la Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME) e da alcune chiese regionali tedesche come quella della Westfalia sono molto incoraggianti.

Le chiese e le reti ecumeniche – quarto elemento da sottolineare – sono infatti parte importante di questo progetto. E non solo perché cattolici e protestanti lavorano gomito a gomito per aprire i corridoi ma perché tanto alla partenza che all’arrivo dei migranti riescono a svolgere una funzione di mediazione con reti associative e di accoglienza. Siamo più concreti: i profughi arrivati o in arrivo dal Libano attraverso i “corridoi” sono stati segnalati e accompagnati da associazioni di volontariato locali, ad esempio l’Operazione Colomba della Comunità papa Giovanni XXIII o altri organismi ecumenici partner delle chiese evangeliche europee; così come in Marocco i referenti locali sono la Chiesa evangelica e la Diocesi di Tangeri. E’ assolutamente ovvio che il progetto non ha preclusioni confessionali di alcun tipo e, in omaggio al principio umanitario e a una scelta strategica di servizio alle persone più vulnerabili, accoglie sia cristiani che musulmani.

Ma le reti ecumeniche operano anche all’arrivo, accogliendo i profughi a loro carico. Si torna così a sperimentare un modello di “sponsorizzazione” – quinto aspetto da sottolineare – che, oltre a valorizzare le reti di volontariato e quindi a facilitare i processi di integrazione, consentirebbe di accogliere un più alto numero di profughi. In Italia come in altri paesi europei.

In conclusione la FCEI e la Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con la Tavola valdese, stanno dando vita a un esperimento che intendono proporre all’attenzione della politica nazionale ed europea: i “corridoi umanitari” infatti, costituiscono una buona pratica, immediatamente realizzabile, in grado di combinare azione umanitaria e esigenze di sicurezza, estensibile ad altri paesi, capace di valorizzare le risorse della società civile e quindi di facilitare i percorsi di integrazione diminuendo gli oneri dell’accoglienza.

In conclusione, siamo di fronte a un progetto che l’Italia ha avuto il merito di adottare per prima e che ora, speriamo, saprà far valere in sede europea. Anche questa è una buona notizia. Per le tante Falak che aspettano nei campi profughi del Libano, nelle foreste del Marocco o nelle bidonville etiopiche, certamente. Ma anche per il ruolo dell’Italia in Europa. (nev-notizie evangeliche 6/2016)