Roma (NEV), 19 settembre 2019 – Mentre sempre più persone nelle Filippine perdono i propri cari a causa di omicidi extragiudiziali e sono falsamente accusati di crimini da parte delle autorità, il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) sta aumentando il suo sostegno e l’accompagnamento delle persone che lottano per i diritti umani nelle Filippine.
Il 16 settembre si è svolto presso il Centro ecumenico di Ginevra un evento dal titolo: “Difendere la santità della vita e la dignità della creazione: la situazione dei diritti umani nelle Filippine”.
Peter Prove, direttore della Commissione delle Chiese per gli affari internazionali (CCIA) del CEC, ha sottolineato l’importanza della risoluzione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite sulle Filippine, che impone un’indagine sulla situazione dei diritti umani nel paese.
Due brevi video, “War on Drugs: Ang Pagbangon (Rising Up)” e “Defend Negros”, hanno denunciato la guerra contro i poveri e i massacri di agricoltori e indigeni, condotta sotto la copertura della cosiddetta “guerra alla droga” e della risposta del governo alle insurrezioni armate.
Le uccisioni di massa e gli arresti degli agricoltori arrivano dopo la chiusura unilaterale del governo dei negoziati di pace con il Fronte nazionale democratico delle Filippine (NDFP). Da quando si sono conclusi i negoziati per la pace nel paese si vive paradossalmente un clima crescente di ostilità relazionato soprattutto ai conflitti per la terra e allo sfruttamento minerario. Un rapporto del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite dell’ottobre 2016, parla di violazioni diritti umani in relazione alle attività estrattive che provocano deforestazione, spostamenti forzati di popolazioni e accaparramento delle aree più fertili e redditizie da parte di imprese transnazionali che ricevono sostegno dal governo. Nel dicembre del 2017 le relatrici speciali delle Nazioni Unite, Victoria Tauli-Corpuz e Cecilia Jimenez-Damary avevano denunciato la militarizzazione ed evidenziato che molte delle violenze nei confronti delle comunità rurali sarebbero frutto dell’errata convinzione che i contadini appoggino i gruppi ribelli del New People’s Army.
Marissa Lazaro ha reso una straziante testimonianza della perdita del figlio minore Chris. Considerato “danno collaterale”, è stato colpito dalla polizia con altri tre uomini che sono stati accusati di essere tossicodipendenti e ladri. Le fu detto che gli avevano sparato perché aveva “reagito”, ma è poi emerso che era ammanettato al momento della morte. Poiché non aveva alcuna testimonianza diretta o denaro per un avvocato, Lazaro non ha potuto presentare una richiesta di giustizia, e si è offerta volontaria con un gruppo della società civile “Rising Up” per alzare la voce a nome di tutti coloro che hanno subito simili tragedie e ingiustizie. Lazaro ha concluso: “Non so cosa mi succederà quando tornerò nelle Filippine perché mi hanno visto al telegiornale”.
Cristina Palabay, segretaria generale di Karapatan, una delle principali organizzazioni per i diritti umani nelle Filippine, ha denunciato le azioni dell’amministrazione del presidente filippino Rodrigo Roa Duterte riguardo alla “guerra alla droga” e ai suoi attacchi contro i difensori dei diritti umani.
Il pastore Antonio N. Ablon, vescovo della diocesi di Pagadian della Iglesia Filipina Independiente, ha raccontato il lavoro della sua chiesa per difendere i diritti dei Lumad, gli indigeni della regione di Mindanao, che vengono allontanati dalle loro terre ancestrali ricche di risorse.
Testimonianze e preoccupazioni molto simili sono state condivise in un evento collaterale sponsorizzato dal CEC alle Nazioni Unite a Ginevra martedì 17 settembre, e associato all’attuale sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.