Roma (NEV), 27 marzo 2020 – Un protocollo che tenga “assieme le ragioni della salute e quelle degli affetti” e permetta di morire con dignità alle tante persone che se ne vanno da sole negli ospedali, senza il conforto dei propri cari.
E’ quanto chiede un gruppo di riflessione di teologhe e teologi evangelici e cattolici in una “Lettera sulla dignità del morire al tempo del coronavirus” indirizzata “alle cittadine e ai i cittadini, con particolare riferimento alle autorità competenti”.
Secondo i firmatari, “nessuno merita di morire da solo, nemmeno in una situazione come l’attuale, sotto il ricatto del sacrificio per il bene dei propri cari”. Per questo “come il personale sanitario, con le dovute cautele, può avvicinarsi al morente”, così dovrebbe essere possibile predisporre un protocollo che preveda “la presenza di un congiunto”.
Qui di seguito il testo integrale della Lettera aperta:
“La morte è entrata nelle nostre case. Ogni giorno riceviamo con sgomento le cifre dei decessi a causa del virus. E’ diventato un bollettino di guerra guardare il telefono, leggere e ascoltare le notizie di cronaca. Cifre sproporzionate.
Dietro l’anonimato dei numeri ci sono volti, nomi, storie, persone che hanno intersecato le nostre vite: i nostri genitori, parenti, amici, colleghi e conoscenti. Molti di loro hanno vissuto la tragedia di morire da soli, senza l’affetto dei loro cari.
Potrebbe accadere anche a noi. Il virus colpisce in modo indistinto. Potrebbe succedere anche a noi di ritrovarci in ospedale, da soli, senza la presenza di un familiare. Si pensa con spavento alla propria morte, ma ora appare ancora più terribile l’idea di doverla affrontare nella solitudine, senza la possibilità di congedarsi dai propri cari.
Sappiamo che, da sempre, il reparto di terapia intensiva è luogo interdetto ai visitatori; e che nei momenti di epidemia, le cautele si fanno ancora più stringenti.
Tuttavia, nel dibattito democratico che non dovrebbe venir meno anche in questi momenti di emergenza, vorremmo richiamare l’attenzione sul venir meno del carattere umanizzante del morire, senza il quale si lascia la persona morente nella solitudine affettiva.
Chi muore da solo non ha la possibilità di far udire la propria voce, le sue ultime volontà. Al massimo, le può consegnare al personale medico. Un metro di misura dell’umanità di una società civile è dato dal tutelare i più deboli, dando voce a quanti non hanno voce. Riteniamo che anche questo rivesta il carattere di emergenza che muove le decisioni di questi giorni.
Chiediamo, dunque, che ci si interroghi seriamente su questo aspetto e che si provi a formulare un protocollo che tenga assieme le ragioni della salute con quelle degli affetti. E’ veramente improponibile pensare che una persona cara, nell’assoluto rispetto delle norme sanitarie, possa essere presente per accompagnare un proprio congiunto nel delicato momento del passaggio dalla vita alla morte?
Si può, con fatica, accettare la solitudine della tumulazione: una volta passata l’emergenza, ci potranno essere gesti pubblici per elaborare il lutto. Ma per chi muore, non si possono differire i tempi: c’è un unico momento.
Nessuno merita di morire da solo, nemmeno in una situazione come l’attuale, sotto il ricatto del sacrificio per il bene dei propri cari. Come il personale sanitario, con le dovute cautele, può avvicinarsi al morente, così, a nostro giudizio, è necessario pensare di prevedere la presenza di un congiunto.
Ci appelliamo, dunque, all’intelligenza vigile e creativa di quanti hanno a cuore di promuovere la dignità del vivere e del morire di tutte e tutti. Nell’emergenza, insieme all’eccellenza sanitaria e al governo politico della situazione, facciamo emergere anche una chiara attenzione al profilo umano di quanti sono vittime dell’epidemia“.
I firmatari: Lidia Maggi; Paolo Squizzato; Andrea Grillo; Fabio Corazzina; Cristina Arcidiacono; Massimo Aprile; Paolo Curtaz; Carlo Molari; Gianni Marmorini; Silvia Giacomoni; Marco Campedelli; Angelo Reginato.