A Palermo, chi non mangia perchè non c’è più lavoro nero

Iniziativa di solidarietà della Chiesa valdese, nel capoluogo siciliano, per offrire pasti e beni di prima necessità ad alcune famiglie, migranti e non, rimaste senza alcuna entrata economica, spesso perchè occupate in nero. Il pastore Peter Ciaccio: "Non possiamo tornare all'illegalità che regnava prima di questa emergenza e di cui purtroppo si è sempre parlato troppo poco"

Il mercato della Vucciria, a Palermo

Roma (NEV), 6 aprile 2020 – Le chiese protestanti in prima fila nella solidarietà diretta alla popolazione più vulnerabile. L’ultimo esempio arriva dalla Chiesa valdese di Palermo, che ha recentemente attivato una raccolta fondi e una distribuzione di beni di prima necessità, rivolte in particolare a nuclei rimasti senza lavoro, perchè occupati nell’economia sommersa.

“Abbiamo ricevuto una richiesta d’aiuto da parte dei nostri fratelli e sorelle ghanesi – spiega il pastore Peter Ciaccio -, che non ci avevamo mai chiesto niente prima d’ora, se non un aiuto d’interpretariato (dal medico, in questura), o magari un aiuto specifico per una spesa particolare. Questa volta la richiesta è stata generalizzata: tutti avevano bisogno, e basilare, cioè ci hanno chiesto soldi per comprare da mangiare”.

Di qui la decisione di farsi subito carico di questo problema.

“Abbiamo fatto una veloce indagine – continua il pastore – e verificato che ci sono una trentina di persone, per lo più ghanesi, tranne una famiglia ivoriana, che col lockdown hanno perso il lavoro da un giorno all’altro. Che tipo di lavoro? Quasi tutti lavori al nero: “puliziere”, come si dice qui in Sicilia, badante, parcheggiatore…Abbiamo cercato di capire cosa potevamo fare di concreto. Siamo giunti alla conclusione che dovevamo attivare il fondo di solidarietà. Il fondo già c’era ma era molto limitato a piccole iniziative. Invece per questa operazione servivano almeno 300 euro a settimana. Abbiamo fatto un appello alla nostra comunità e, contemporaneamente, siamo stati contattati da persone con le quali normalmente abbiamo collaborazioni a livello culturale, che ci hanno chiesto se facevamo qualcosa, perché si fidavano di noi. Risultato: in 4 giorni abbiamo raccolto più di 2000 euro”.

Perché il nodo, non solo in Sicilia ma probabilmente in tutta Italia, è l’aiuto a chi lavorava nell’economia sommersa. Due giorni fa, come si legge anche in questo articolo del Sole 24 ore, la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha risposto che “il lavoro in nero non dovrebbe esistere” ma “purtroppo il lavoro sommerso è una piaga che c’è. È chiaro che a tutte quelle persone che per vari motivi si trovano in una situazione di emergenza dobbiamo pensare. Dunque per tutte le persone senza reddito è previsto un reddito di emergenza”.

Una questione complessa e delicata, perchè presuppone il riconoscimento di una situazione di diffusa illegalità. Che però, intanto, pone le famiglie di chi lavorava in nero sull’orlo del lastrico.

“L’aiuto che diamo è piccolo – continua Peter Ciaccio – ma sappiamo che le persone migranti sono in grado di fare miracoli con pochi soldi. L’aiuto consiste in alimenti e qualche soldo. Fortunatamente, abbiamo tra noi qualcuno che ha libertà di movimento e che si è fatto carico di portare a destinazione gli aiuti. Considerando che chi lavora fuori casa in queste settimane, lavora più di prima, siamo particolarmente grati per questo servizio ulteriore”.

L’iniziativa andrà avanti finché ce ne sarà bisogno. “Continueremo il progetto finché ci sarà il lockdown. Poi vedremo come evolverà. Tra l’altro, abbiamo un progetto di diaconia comunitaria con l’Otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi, gestito dalla Diaconia valdese, per il quale dobbiamo comunque coprire una quota di 2500 euro trovati dalla comunità. Questa iniziativa ci ha fatto già praticamente raggiungere questo obiettivo minimo”.

La piaga del lavoro sommerso e dell’illegalità continuerà a fare vittime, ancora di più nel corso della pandemia? “A Palermo una consistente percentuale della popolazione vive e lavora al nero – conferma il pastore metodista -. Mi auguro, dopo l’emergenza sanitaria, che non torneremo all’illegalità che regnava prima di questa emergenza e di cui purtroppo si è sempre parlato troppo poco. Non solo migranti lavorano senza alcun contratto, ma soprattutto “autoctoni”: i migranti lavorano al nero, perché vedono che “in Italia funziona così”. Parliamo, ad esempio, anche di donne che raggiungono l’età per la pensione minima e continuano a fare le pulizie sei giorni a settimana per tutta la città, fino a oltre 70 anni di età. In questo il reddito di cittadinanza (che, non è un caso, molti hanno avuto paura a chiedere, perché è “meglio” restare invisibili) da una parte ha dato ossigeno, dall’altra ha reso il giochetto del nero sostenibile.
Da non palermitano mi ha subito colpito la “normalità” dell’illegalità e, ogni volta che provavo a dire “Non va bene”, la risposta di molti “onesti cittadini”, persone che pagano le tasse, impegnate politicamente, è sempre stata: “E vabbè, ma poveracci, che male fanno?”. Si fanno male da soli, io credo, e questa situazione ha mostrato tutte le falle del sistema. Tra l’altro col lockdown la criminalità organizzata, che ha anch’essa un calo di fatturato, ha alzato la testa e le spedizioni di “esproprio (apparentemente) proletario” ai supermercati sono a mio avviso dei chiari segnali alla politica. Non è un caso che il Comune di Palermo ha messo in piedi un sistema di sostegno economico-alimentare per circa 15mila famiglie”.

Anche il Comune ha infatti già organizzato la distribuzione di beni alimentari. Ma bisognerà capire come si evolverà la situazione nelle prossime settimane, non solo a Palermo ma in tutto il Sud e ovunque ci siano persone particolarmente vulnerabili e ricattabili dal punto di vista del lavoro e dei diritti.