Emanuele Fiume: “Cristo, unico sacerdote”

Intervista al pastore e storico del cristianesimo Emanuele Fiume, sui temi del sacerdozio universale, del clericalismo e dell’esclusivismo maschile in ambito religioso

Foto NEV

Roma. 15 gennaio 2021 – L’Agenzia NEV ha interpellato il pastore e storico del cristianesimo Emanuele Fiume sui temi del sacerdozio universale, del clericalismo e dell’esclusivismo maschile in ambito religioso. Gli abbiamo posto alcune domande.

Recentemente, nella pagina pubblica “Riforma Protestante in Italia” su Facebook (nel corso di un dibattito sulla notizia riportata da Linkiesta per cui Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale di Germania, avrebbe ribadito il suo favore rispetto all’accesso delle donne al presbiterato) lei ha scritto: “Il problema non è la preclusione al sacerdozio ministeriale alle donne, ma il sacerdozio ministeriale stesso. Tutti i battezzati sono sacerdoti con il battesimo. Il clericalismo non mi interessa, né quello di posizione, né quello del desiderio”.

Ci può spiegare meglio cosa significa sacerdozio, ministero, sacerdozio universale? E cosa intende per “clericalismo di posizione” e per “clericalismo del desiderio”?

Sui social spesso si scatenano le tifoserie. Nella fattispecie, la curva progressista si lasciava andare all’entusiasmo, come se fosse stato assegnato un calcio di rigore a favore. Da una parte il problema del potere maschile nelle chiese esiste, seppur in forme diverse, e questo problema è grave e serio. D’altra parte la Riforma protestante non ha “esteso” l’accesso alla dignità sacerdotale alle donne, ma ha proclamato questa dignità come pienamente presente in ogni battezzato, donna o uomo, ricco o povero, nobile o contadino. Certamente la proclamazione è efficace, ma non in modo automatico: l’esercizio effettivo di questo sacerdozio in tutte le sue possibilità da parte di tutti i credenti è ancora un punto d’arrivo all’orizzonte, non una posizione acquisita. Anche il protestantesimo nel mondo ha avuto e ha i suoi ritardi in proposito. Ma almeno può affrontarli in quelle categorie di continuità con le sue origini e il suo specifico teologico che sono l’autorità scritturale e il sacerdozio universale. Il sacerdozio nel protestantesimo è soltanto universale fondamentalmente perché alla Cena del Signore viene negata qualsiasi interpretazione sacrificale. Questo perchè il sacrificio di Cristo sulla croce è considerato unico e irripetibile. Se la Cena non è un sacrificio, allora non c’è bisogno di sacerdoti particolari che lo offrano. Quindi Cristo resta l’unico sacerdote e l’unica vittima dell’unico sacrificio di salvezza, che è la croce e che non viene ripetuto o rinnovato nel sacramento della Cena. Per questo il protestantesimo non ha un ministero sacerdotale particolare. Il sacerdozio universale consiste nel fatto che in Cristo, ogni battezzato “si presenta a lui come sacrificio di gratitudine e lotta in questa vita contro il peccato e il demonio con animo franco”, come dice il Catechismo di Heidelberg. Aggiungerei che la preghiera di intercessione, il sostegno fraterno, la testimonianza del perdono di Dio sono tutti carismi che declinano in diversi modi il sacerdozio universale di tutti i credenti. Ogni ministero della chiesa è un servizio, un compito sempre particolare e mai esclusivo, che deriva da una vocazione rivolta dalla chiesa. Ma è cosa diversa dal sacerdozio. Tra i ministeri, alcuni stabili e altri temporanei, elencati nel Nuovo Testamento, un ministero sacerdotale particolare non è mai menzionato. Pertanto il mio intervento invitava a non farsi ingabbiare nell’alternativa tra il mantenimento di un sacerdozio particolare unicamente maschile (clericalismo di posizione) e il suo allargamento alle donne (clericalismo di desiderio), ma a guardare verso una dimensione di sacerdozio universale pienamente vissuta in tutto il popolo di Dio e che non si attribuisca ciò che è solo del Cristo, unico sacerdote. 

La ristretta dimensione femminile nel cattolicesimo romano è probabilmente frutto di un contesto più ampio, come più volte ribadito anche da numerose teologhe di estrazione sia cattolica sia protestante. (Ne possiamo leggere traccia, ad esempio, qui, nell’intervista a Paola Cavallari, presidente dell’Osservatorio interreligioso contro le violenze sulle donne, dal titolo “Donne e clericalismo: C’est fini! Un rinnovato desiderio di re/in/surrezione”).

Come uomo e come pastore, cosa ne pensa?

Il problema tra maschile e femminile nasce nella Genesi, appena dopo la disobbedienza. Voglio dire, l’appropriazione del potere (perché di questo in fondo si tratta) da parte del maschile è una delle sfaccettature del peccato universale e originale. Questo ha generato delle concrezioni storiche assolutamente coerenti con le sue origini, ossia con l‘inimicizia tra Adamo ed Eva seguita alla loro disobbedienza. Perché, da storico del cristianesimo, posso serenamente affermare che la Storia umana, ma anche la Storia della chiesa, è soprattutto una Storia di infedeltà e di peccato. Il cattolicesimo, avendo statutariamente considerato la tradizione (quindi la Storia) come fonte della rivelazione divina, si trova oggettivamente in una posizione che rende l’esclusività maschile del sacerdozio particolare difficilmente rivedibile. Il protestantesimo – non dimentichiamolo, solo in una sua parte – ha dato un colpo di scalpello che ha tardivamente rimosso parte della concrezione maschilista. Purtroppo, questo basta per essere contati tra le avanguardie… A differenza però di quanto afferma la Cavallari citando Antonietta Potente, credo che la via non passi per un “ministero disordinato”, ma per un ministero evangelicamente ordinato. Nella Lettera ai Romani (16,1) Paolo raccomanda alla Chiesa Febe, diaconessa della chiesa di Cencrea. Dove sono oggi le diaconesse e le ministre ordinate che erano a Roma ai tempi degli Apostoli?
Tuttavia penso che questo obiettivo raggiunto in parte del protestantesimo possa essere valorizzato non come un punto d’arrivo, ma come una direzione di marcia. L’emancipazione femminile non ha ancora vinto tutte le battaglie, né nel mondo, né nella società occidentale, né nelle chiese. Tra l’altro, si tratta di una grande rivoluzione nonviolenta, e questo è sicuramente rilevante.

Lo scorso 11 gennaio papa Francesco ha aperto alle donne la possibilità di fare letture in chiesa e di distribuire l’Eucarestia, ai sensi del diritto canonico, andando a legittimare una prassi che in alcune parrocchie era già consolidata. In ottica protestante, l’apertura potrebbe sembrare parziale/insignificante.

Secondo lei è così?

L’apertura è evidentemente parziale. Potrebbe essere anche insignificante, ma nel procedere della chiesa cattolica, potrebbe non esserlo affatto. Cade qualsiasi appiglio per negare alle donne l’accolitato e l’ostiariato. Inoltre questi ministeri, che già nella prassi venivano esercitati da donne, verranno stabiliti liturgicamente. Vedremo vescovi che benediranno donne in abito liturgico e che consegneranno loro la patena e il calice dicendo: “Ricevi il vassoio con il pane e il calice con il vino per la celebrazione dell’Eucaristia e la tua vita sia degna del servizio alla mensa del Signore e della Chiesa”. Qualcosa viene alla luce. Un passo che di per sé ha significato soltanto se è il primo passo. L’importante è continuare a sperare che, anche mediante le critiche e le proposte delle donne, la Scrittura possa tornare a fare il tagliando alle Chiese. Che ne hanno tutte un gran bisogno.