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Donne e clericalismo: “C’est fini!”. Un rinnovato desiderio di re/in/surrezione

Paola Cavallari, presidente dell’Osservatorio interreligioso contro le violenze sulle donne, racconta due anni di attività, a partire dal recente incontro con Anne Soupa e Antonietta Potente

Di
Elena Ribet
-
21 Dicembre 2020
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    Roma (NEV), 21 dicembre 2020 – Intervista a Paola Cavallari, presidente dell’Osservatorio interreligioso contro le violenze sulle donne (OIVD).

    Lo scorso 12 dicembre si è tenuto (in collaborazione con Adista, Catholic Women’s Council, Donne per la Chiesa, Federazione delle donne evangeliche in Italia -FDEI-, Voices of Faith, Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne) l’appuntamento con la teologa francese Anne Soupa, che si era candidata alla guida come Vescova della sede vacante della Diocesi di Lione. Com’è andata?

    È stato un incontro preziosissimo, eccedente direi; anche perché il binomio Anne Soupa e Antonietta Potente – teologa e religiosa domenicana, anche lei autorevole ospite della mattinata – si è rivelato una vera fioritura di anime profetiche e il dialogo a tratti vulcanico. Le domande di Paola Lazzarini molto puntuali, la conduzione di Ludovica Eugenio sapiente. I riscontri che abbiamo avuto sono stati entusiastici, per lo più.

    Quali sono gli argomenti e le posizioni emerse dall’incontro?

    La candidatura di Anne Soupa è un evento che ha provocato crepe, malumori, opposizioni (viscerali è stato detto) … ma è fiorita una altrettanto giubilante meraviglia, speranza di vento (Ruah) nuovo, scompigliante ordini ammuffiti. A favore della teologa francese è emerso un ampio sostegno. In vaste aree di opinione pubblica, religiosa e laica, ella è riuscita a trasmettere l’immagine di una presenza femminile autorevole. Si è liberato il messaggio: “la mia dignità non può sopportare altri maltrattamenti”; “C’est fini”! Non aspettiamo più, non accettiamo più di essere oggetto del discorso del clero” – “Crediamo in noi, sta a noi dire, nella gioia, chi siamo”. Il gesto di Soupa non è stato dunque né un gesto di assimilazione al paradigma ecclesiastico, o di fede disincarnata, né atto allineato con l’assetto gerarchico clericale della chiesa, né individualistico. È stato piuttosto mosso da un desiderio profondo di libertà femminile, e allo stesso tempo un segnale mistico-politico forte di risveglio per tutte noi. Toutes apôtres, è il nome del gruppo francese che si è creato espandendo la forza d’urto. Energie sopite sono state suscitate, è sbocciato un rinnovato desiderio di re/in/surrezione (prendendo a prestito un neologismo coniato dalle donne del Comité del la jupe, di cui Anne è presidente). Tra le conseguenze del suo gesto – dice Anne – c’è quella dell’espandersi di un’onda di un popolo che si faceva domande (“perché no?”) e metteva in atto una presa di coscienza.

    Il pastorato/ministero femminile, il sacerdozio universale, la vocazione e il servizio di donne e uomini nelle chiese, sono argomenti che trovano differenti punti di vista e di interpretazione. Secondo lei cosa possiamo imparare da queste diversità?

    La questione dei ministeri femminili è stato ovviamente un tema centrale, sia nei discorsi di Anne Soupa sia in quelli di Antonietta Potente. Non va inquadrata come “femminile” (Accesso alle donne) e basta; una sorta di “quote rosa” elargite dal vertice. È piuttosto un argomento che coinvolge la chiesa tutta, donne e uomini, insieme a tutti gli orientamenti sessuali. Non a caso la parola clericalismo, un male che affligge la chiesa cattolica, è uscita spessissimo durante l’appuntamento, sia dalla bocca di Anne, che di Potente, che nelle domande della platea. Non si tratta quindi di “ammettere” le donne cattoliche – a cui il ministero ordinato è interdetto – ma di convertirlo in ministero disordinato, come ha provocatoriamente affermato Potente, ministero cioè che è dentro la vita e non avulso da lei. Anche su questo punto le due relatrici sono state assolutamente concordi. E su ciò Soupa ha chiosato che, alle origini del cristianesimo, l’episcopato non era funzione associata al sacerdozio, ma esercizio dei laici (e delle laiche, talvolta).

    In quanto donne, che tipo di azioni è possibile intraprendere?

    Soupa e Potente sono state concordi nel proclamare con assertività che, per le donne, non si tratta ormai più di chiedere, ma di osare e prendersi ciò che ci spetta, autorizzandoci, perché siamo chiesa. È stata più volte evocata la figura della emorroissa, la donna, disperata e coraggiosa, che si fa largo tra la folla e osa toccare, nonostante la sua condizione di “impurità”, i bordi della veste di Gesù. Superbo esempio – presente nei vangeli – di personaggio femminile che, seguendo la voce vivificante dello Spirito in lei, va e agisce, nonostante tutto e tutti.

    Nell’incontro si è parlato anche di chiesa cattolica e di papa Francesco. Che quadro ne emerge?

    Sulla chiesa cattolica, entrambe le due teologhe hanno espresso un parere sulla figura di papa Francesco, un papa certamente in felice continuità con il Concilio Vaticano II, nonché in felice discontinuità con i suoi predecessori. Ma riguardo alle donne si apre una dolorosa ferita. Il papa seduce, ma ignora le donne e le offende (anche nel suo ultimo libro), dice Soupa; le fa eco Potente: “Questo papato sembra molto aperto, ma in realtà sta distraendo dai gesti escludenti che opera”.

    Quali suggerimenti sono scaturiti?

    Un altro elemento emerso è la necessità di compiere gesti forti, atti simbolici, che abbiano la capacità di accendere i riflettori e che contengano un raggio d’azione non ristretto al proprio paese/nazione, ma sconfinino in una dimensione internazionale. Occorre agire in rete, sostenendoci, appoggiando il desiderio di un’altra che osa e si espone per scardinare il monopolio androcentrico, anche se il suo desiderio non è il mio medesimo. Con questo spirito assolutamente estraneo al clericalismo, le candidature in Italia potrebbero essere avanzate da un gruppo – proposta auspicata da Soupa e ripresa con chiarezza da Potente – e sostenute da una rete con convinzione.

    La storia

    Religioni (monoteiste) e patriarcato. Binomio necessario?

    Premetto che sono una persona che crede nel divino e nelle sapienze sacre. Sono innamorata della figura di Gesù di Nazaret, vero maestro. A proposito della religione in cui sono stata battezzata (cattolicesimo), aderisco però con tutta me stessa a Simone Weil che scrive: ≪…. È come se col tempo si fosse finito per considerare non più Gesù, ma la Chiesa come Dio incarnato quaggiù≫. (Lettera a un Religioso). E sulla scorta di Meister Eckhart ripeterei: “prego Dio che mi liberi da Dio”. Entro ora nella sua domanda. Dal punto di vista teologico, DIO (questa parola come sapete non andrebbe detta/scritta senza esitazioni, per varie ragioni, anche femministe, ma ora non possiamo addentrarci) nelle religioni monoteiste non è maschio, ma una “realtà” senza sesso. La ricezione delle Rivelazioni, però, avviene in un contesto segnato dal patriarcato che ha agito colonizzando, per così dire, Dio, quindi rappresentando-“lo” a “propria immagine e somiglianza”. La mia risposta deve tener conto delle vicende storiche in cui le religioni si collocano. Come tutto ciò che si è dato nel mondo, esse sono storicamente determinate. Poiché il dominio maschile è in atto almeno dal neolitico, le istituzioni e culture religiose hanno subito questo influsso e ne hanno assunto l’impianto: hanno commesso peccato di idolatria, credo si possa dire, e credo che a noi donne spetti rivolgere ad esse un j’accuse alto e chiaro e una richiesta di conversione vera, non insincera come è stato fatto nel caso del cattolicesimo. Inoltre le culture religiose hanno quasi sempre legittimato la costruzione simbolica androcentrica contrabbandandola come disegno divino e con questa prospettiva hanno insegnato e trasmesso tradizioni (che poi hanno reso fortilizi).

    L’invasione dei Kurgan tra il 4500 e il 2500 a.C. rappresenta, secondo moderne teorie antropologiche, l’inizio dello scardinamento del femminile nel sacro. Le terre fertili dell’antica Europa subiscono una devastazione materiale e culturale. Penso ad esempio a Marija Gimbutas e Riane Eisler. Cosa ne pensa?

    Le studiose femministe Kate Millett, (in Sexual politics) e Adrienne Rich (in “Nato di donna”), trattano il tema dello scippo simbolico e spirituale subito dalle donne nella antichità. Raccontano come Eschilo si avvalse dell’ultimo dramma della trilogia di Oreste (Eumenidi) per presentare il dramma che si consuma tra l’autorità paterna e l’ordine politico-sociale precedente, fondato sulla autorità materna. Lavorando sul materiale di un mito assai precedente, il drammaturgo narra il processo in cui gli dei si schierano per decretare l’inscrizione dell’ordine patriarcale. Clitemnestra aveva vendicato l’uccisione della figlia Ifigenia commessa dal padre, Oreste aveva ucciso la madre per vendicare a sua volta il padre. Al processo Apollo, nella sua arringa, giustifica Oreste “non essendo egli colpevole perché non dello stesso sangue della madre”, mentre dal dio viene proclamata e da Atena (figlia di Zeus) sancita la legge divina (di natura) che inscrive il padre – e non la madre – soggetto di “titolarità della discendenza”. La verità incontrovertibile del primo legame biologico inscritto nel legame madre-figlio viene sconfessata e negata da Apollo, che si fa portavoce del ribaltamento più titanico della storia. Un testo esemplare dell’avvento arrogante della egemonia del patriarcato. Ma che nasconde ahimè le motivazioni in esso inscritte: la insopprimibile invidia e riluttanza maschile per la potenza generativa delle donne.

    Quindi, tornando ai monoteismi, c’è speranza?

    Le culture religiose monoteistiche si sono innestate in una pianta patriarcale e l’hanno riperpetuata. Ma nei testi sacri (che molte di noi valutano redatti per lo più da uomini) noi troviamo fessure luminose e scintille che racchiudono tesori di senso, da far fecondare in un’ottica di armonia per tutte le creature, senza egemonia alcuna.

    L’Osservatorio

    L’Osservatorio OIVD, a marzo, compie due anni. Un periodo denso per le donne e per l’umanità (crisi economica, ecologica, sociale, pandemia…). Qual è stato il momento più difficile del vostro percorso?

    I momenti difficili sono stati legati a incomprensioni con alcune socie che tempo fa ci hanno lasciato in modo non sereno; il dialogo interreligioso quasi quotidiano così come lo pratichiamo noi non è privo di inciampi. È stata una ferita che ha lasciato i segni. Come si può immaginare non ne posso riferire i motivi o le dinamiche, perché darei una versione di parte, non potendo qui registrarsi il loro punto di vista. Anche le pratiche tra donne talvolta hanno slabbrature e lacerazioni. I nodi vanno assunti, perché solo così si cresce, senza rimozioni, visioni edulcorate, cedimento al trionfalismo; le esperienze faticose devono servire a rimodellarsi guadagnando in consapevolezza.

    Quali sono, oggi, le caratteristiche dell’OIVD e i suoi ambiti di intervento?

    Mi sono resa conto, in questi due anni, che la nostra associazione ha un profilo politico, o di mistica politica, molto ambizioso, di cui non mi ero resa conto quando l’’ho promossa. Ho scritto nella mia relazione alla assemblea ordinaria che non conosco (ma sarà un mio limite) altre associazioni che hanno questo duplice obiettivo: l’interreligiosità vissuta sul campo, e non solo in convegni sporadici – e questo è un elemento decisivo – ; e il pensiero/pratica femminista. Non è facile lavorare su questo doppio binario, come ho detto, ma è la nostra vocazione, a cui non possiamo sfuggire: creare un ponte tra sapienze sacre e femminismi, e agire con queste eredità / genealogie per la libertà femminile (senza di cui non si dà quella maschile) e per rapporti tra i sessi “redenti”. Il processo del nostro lavorare vorrebbe essere altrettanto importante degli obiettivi: metodo assai complesso anche questo, su cui talvolta – credo – deragliamo. Come vede la parresia mi accompagna.

    Siamo una pratica vivente femminista di dialogo interreligioso: una debole e al tempo stesso luminosissima scintilla di Bene.

    Quale è stata la maggiore soddisfazione in seno all’Osservatorio interreligioso contro le violenze sulle donne?

    Le soddisfazioni che abbiamo attraversato sono moltissime, difficile scegliere. Dal momento del nostro incontro del 14 marzo ’19 in cui realizzammo una sorta di celebrazione delle firme al Protocollo di intesa, il testo che sanciva la nostra alleanza (ed era venuta apposta da Parigi Anne Soupa a tenerci a battesimo) e si sollevò una grande curiosità dei media intorno a noi; le nostre giornate “Osservazioni sul tempo presente”, in cui con molta tempestività organizzammo tre giornate di Webinar sulle esperienze durante il lockdown viste da un’ottica specifica nostra, parlando di temi quali la prostituzione e l’etica della cura (tra poco uscirà il video); la soddisfazione di aver “preso parola pubblica” a proposito di eventi importanti con comunicati stampa (tra cui quello “siamo tutte Anne Soupa”, oppure quello dello scandalo dei cimiteri dei feti); l’appuntamento di cui abbiamo parlato sopra… Ma sono le persone, donne e uomini, i volti che ho incontrato e le voci con cui ho progettato… sono le relazioni, insomma, il dono più grande; relazioni fiorite, cresciute, rinvigorite nelle pratiche politiche… ecco la soddisfazione più grande!!!


    L’intervistata precisa che le posizioni espresse nel testo sono sue personali e non necessariamente riflettono quelle dell’OIVD.

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      Elena Ribet
      https://www.nev.it
      Redattrice dell’Agenzia stampa Nev-notizie evangeliche

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