Strategia UE biodiversità, Langeneck: “Necessario coinvolgere i cittadini”

Un commento del ricercatore e biologo marino al testo approvato pochi giorni fa dal Parlamento europeo. "Nel complesso - scrive -, la nuova strategia sulla biodiversità dell’UE tocca dei punti importanti, ed ha il merito di imporre agli stati membro obiettivi più vincolanti rispetto alla versione precedente; ma continua a mancare una riflessione complessiva sul peso sociale ed economico delle politiche ambientali e sul necessario coinvolgimento di cittadini e portatori di interesse".

foto Marcos Paulo Prado, unsplash.org

Roma (NEV), 14 giugno 2021 – Con 515 voti a favore, 90 contrari e 86 astenuti il Parlamento europeo ha approvato il 9 giugno scorso le conclusioni della Strategia Ue sulla biodiversità per il 2030. Tra le decisioni più attese quella di confermare l’obiettivo di proteggere almeno il 30% delle terre e dei mari europei entro il 2030. Inoltre, per un terzo di questa percentuale – in cui ricadono tutte le foreste primarie quelle di vecchia crescita – le norme di tutela devono essere particolarmente stringenti. Al fine di evitare il fallimento registrato dalla Strategia Ue sulla biodiversità per il 2020, in questa nuova versione è stata definita la necessità di introdurre obiettivi vincolanti per legge e per ciascun paese membro. Spetterà adesso alla Commissione europea proporre agli Stati membri delle policy concrete. Tra le altre misure, sono previste la riduzione dell’uso dei pesticidi del 50% entro il 2030 e l’adozione di una moratoria sul deep sea mining, cioè l’attività mineraria in acque profonde, i cui impatti sull’ecosistema non sono ancora stati quantificati.

Abbiamo chiesto al biologo marino Joachim Langeneck, che ha tra l’altro collaborato con la Commissione Globalizzazione e ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (GLAM) al dossier sugli oceani, un commento sul testo approvato dall’emiciclo di Bruxelles. Ecco, di seguito, la sua analisi:

“Quando ho iniziato a fare ricerca nell’ambito della biologia marina, dieci anni fa, il 2020 era un anno distante cui faceva riferimento la strategia sulla biodiversità dell’UE, ed era la data di riferimento per progetti di ricerca, sperimentazioni, interventi politici. Il 2020 è arrivato e, ovviamente, la gran parte degli obiettivi posti dall’UE non sono stati raggiunti. Questo non deve essere automaticamente visto come un fallimento; in realtà, in questi anni le condizioni ambientali sono generalmente lentamente migliorate, anche se non al ritmo o alla scala richiesti dall’UE. In alcuni casi il mancato conseguimento degli obiettivi si deve più ai lenti tempi di recupero degli ecosistemi che non alla mancata messa in atto delle politiche richieste, anche se in altri casi le iniziative realizzate sono state effettivamente insufficienti per garantire anche solo l’inizio di un processo di recupero ambientale. Tutto considerato, comunque, questi dieci anni sono stati tutt’altro che una perdita di tempo: anche grazie alla pressione dell’UE siamo stati in grado di avere un’idea più chiara di come funzionino gli ecosistemi e come le loro funzioni possano essere restaurate. Affinché questi processi positivi proseguano, è importante non interrompere ciò che ha funzionato, e trovare il modo di far funzionare ciò che non è andato negli scorsi dieci anni; esattamente in quest’ottica l’UE ha stilato e approvato ad ampia maggioranza una nuova strategia sulla biodiversità, con obiettivi calibrati sul 2030.

Tra questi, un tema importante, ed ampiamente disatteso negli scorsi dieci anni, è la definizione di nuove aree protette, fino a coprire il 30% del territorio terrestre e marittimo. Inoltre, viene chiesto di sottoporre a protezione integrale il 10% del territorio. Questa richiesta, apparentemente ragionevole, è in realtà una potenziale fonte di conflitto sociale. L’idea originaria di area protetta, sviluppata a fine XIX secolo negli USA, è quella di un’area a protezione integrale, in cui l’accesso umano è estremamente limitato e gli impatti umani, anche storici, virtualmente inesistenti. Le ampie aree disponibili negli USA di fine ‘800 permettevano questo modello, che è diventato il termine di paragone delle aree protette a livello mondiale. In Europa, millenni di civiltà con un impatto ambientale non trascurabile rendono questo modello inapplicabile, e suggeriscono piuttosto lo sviluppo di aree protette con livelli di protezione graduali. Per essere efficace, la protezione dell’ambiente non può essere un processo imposto dall’alto, ma deve coinvolgere i cittadini e in particolare i portatori di interesse – come abbiamo visto nel caso del conflitto tra allevatori e grandi carnivori, una legge astratta calata dall’alto senza mediazioni porta ad enormi problemi economici da un lato, al fallimento dei progetti di protezione dall’altro. Le linee guida definite dall’UE non prendono atto dell’importanza dell’educazione e del coinvolgimento della cittadinanza nella salvaguardia dell’ambiente, ma è auspicabile che i singoli stati tengano conto di questo fattore.

La strategia sulla biodiversità per il 2030 chiede anche una moratoria sul deep sea mining. Questo fenomeno ha acquisito rilevanza negli ultimi anni, con l’esaurimento di numerosi giacimenti minerari terrestri, e lo spostamento degli investimenti su giacimenti oceanici, che ovviamente hanno costi estremamente elevati, e richiedono quindi numerosi anni di estrazione intensiva per risultare redditizi. Queste attività estrattive sono estremamente dannose per la fauna degli ambienti profondi, che è tipicamente una molto diversificata e con popolazioni molto ridotte, facilmente portate all’estinzione. Il deep sea mining è inoltre un’ulteriore sorgente di disuguaglianza globale, dato che molti giacimenti si trovano in acque internazionali o nelle acque nazionali di Paesi che non hanno le risorse economiche per sfruttarli, e vengono quindi dati in gestione a potenze occidentali. La richiesta di una moratoria è incentrata sui danni ambientali provocati da questa attività, ad oggi poco studiati e poco conosciuti, ma ha quindi anche delle conseguenze a livello di giustizia economica e ambientale.

Nel complesso, la nuova strategia sulla biodiversità dell’UE tocca dei punti importanti, ed ha il merito di imporre agli stati membro obiettivi più vincolanti rispetto alla versione precedente; ma continua a mancare una riflessione complessiva sul peso sociale ed economico delle politiche ambientali e sul necessario coinvolgimento di cittadini e portatori di interesse”.


Joachim Langeneck

*Joachim Langeneck è biologo marino, al momento assegnista di ricerca presso l’Università di Pisa. La sua ricerca si concentra principalmente sulla sistematica ed evoluzione di invertebrati marini, e sullo studio di processi ecologici negli ambienti marini.