Roma (NEV), 29 luglio 2021 – La sessione ecumenica di Camaldoli è a metà del suo corso. Ne dà notizia in un comunicato il Segretariato attività ecumeniche (SAE). Martedì sera nel chiostro della chiesa del monastero è stato celebrato il culto di Santa Cena con la predicazione della pastora Ilenya Goss, della Chiesa valdese di Mantova, animato da pastore, pastori e laiche e laici di diverse chiese riformate italiane. Nell’assemblea erano presenti i monaci della Comunità camaldolese che ospitano la sessione nella foresteria del Monastero. “La Parola ci costituisce come assemblea in ascolto» ha detto Goss nella predicazione sul brano finale del Vangelo di Matteo in cui Gesù convoca i discepoli prima di separarsi definitivamente, con la promessa “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dell’età presente”. Nel mandato consegnato ai discepoli, definito in genere missionario e finalizzato alle conversioni, in realtà c’è tutt’altro spirito, ha detto la pastora. “Gesù dice “andate a discepolare”: vivete la vita di discepoli e chiamate altri a vivere come discepoli, a entrare in relazione con il Maestro. Fare discepoli passa da discepoli a discepoli ma uno solo è il Maestro. Siamo chiamati a condividere il dono ricevuto senza esserne proprietari”. Al termine è stata raccolta una colletta, devoluta a favore di un progetto per bambini in difficoltà del Burkina Faso attraverso fratel Enzo Biemmi.
Mercoledì si è svolta l’intervista in streaming a cura di Sabina Baral, da Torino, con il teologo valdese Paolo Ricca, collegato da Roma, e la teologa cattolica del Coordinamento teologhe italiane (Cti) Cristina Simonelli, presente a Camaldoli nella Sala del Landino. Le domande si sono spinte oltre il titolo dell’incontro “Padre Nostro che sei nei cieli”: come dire Dio oggi”: qual è il rapporto tra il bisogno crescente di serenità e pace e la ricerca di Dio, come risolvere la dicotomia tra le vicende drammatiche del mondo e il desiderio di felicità, cosa significa fare teologia nelle periferie esistenziali, qual è il contributo più alto che le teologie delle donne possono portare alla ricerca di Dio.
Per Paolo Ricca “cercare Dio significa cercare pace e serenità. Non bisogna credere che la ricerca della pace sia evasiva, che sia un’operazione egoistica, è invece vitale. Naturalmente la ricerca di Dio non è solo questo, ma è anche questo. Non dobbiamo temere di cercare Dio cercando queste cose”. Il pastore ha detto di ritenere compatibile il desiderio di felicità nella prospettiva riconciliata del mondo destinato alla trasfigurazione. Nella modernità la felicità è stata inserita come diritto nella Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776. Nella Bibbia la felicità è un dono, non un diritto. Il discorso della montagna che dice “beati”, cioè felici, è legata al Regno di Dio. É legittimo in mezzo al dramma quotidiano la ricerca della felicità perché in tutto questo il Regno si è avvicinato.
Per Cristina Simonelli, già presidente del Cti, vivere, come ha fatto per venticinque anni, in un campo rom “è stato un allargamento dei confini. Riconoscere tutti come figli, figlie, padri e madri. Non l’ho vissuto come un’alternativa, io non riesco a distinguere la mia vita, la grazia che ho ricevuto per avere i piedi lì e la teologia delle donne. Uno dei motivi per cui sono andata è stato: “voglio provare se il ‘Padre nostro’ tiene”. Non mi ponevo la domanda su padre e madre, ma su ‘nostro’. L’ho vissuta come promessa mantenuta. Questo aspetto della preghiera del ‘Padre Nostro’ è stato importante, una parola profetica”.
Il contributo delle teologie delle donne alla ricerca di Dio Simonelli lo definisce con tre elementi mutuati da un libro della collega Elisabeth Green: manomissione, profondità, rispetto. “Manomissione non è solo scardinare, è anche liberare le persone e la Scrittura. Profondo rispetto per la Tradizione senza lasciare niente fermo, rovesciando. Per rispetto e obbedienza manomettere, cioè aprire tutto e cercare di liberare tutto. Liberare, attraversare i trattati teologici e la Scrittura”.
Della preghiera del “Padre Nostro” la teologa ha sottolineato che nella versione di Matteo è introdotta dall’invito a non fare come i pagani, a non sprecare parole. Un inquinamento delle parole è avvenuto nella nominazione del padre che è stata usata nei secoli per giustificare il potere e il patriarcato. “A Gesù è stato dato ogni potere in cielo e in terra, non a noi». La parola padre si può tenere ma accompagnata a madre. “È importante depatriarcalizzare. L’annuncio dell’evangelo e l’Abbà pronunciato da Gesù dice in che modo intendere padre e madre. Padre non è il nome di Dio, ma è cifra di relazione, origine della vita e custodia, paterna e materna. Non vogliamo sostituire madre a padre. Teniamo entrambi, teniamo la complessità delle differenze tra uomini e donne e anche tra confessioni. Potremo affermare la ricchezza della comunione come differenze riconciliate e riconvertite dal tarlo originario della gerarchizzazione”.
Nel pomeriggio i partecipanti alla sessione sono saliti a piedi al Sacro Eremo per una visita guidata dal priore. La serata è stata dedicata alla memoria della fondatrice del Sae, Maria Vingiani, con testimonianze della nipote Francesca Vingiani e di collaboratori e collaboratrici.