Di strage in strage. Dieci anni dopo Lampedusa

L'intervento di Paolo Naso ieri, domenica 5 marzo, nella rubrica "Essere chiesa insieme", su "Culto evangelico", la trasmissione radiofonica in onda ogni domenica su Radio Rai Uno.

Foto di Nadia Angelucci

Roma (NEV), 6 marzo 2023 – L’immagine è straziante: una spiaggia con i relitti di un barcone, qualche scarpa e la tutina di un bambino. Del corpo che doveva contenere non si sa nulla se non che è stato inghiottito dal mare nel corso dell’ultima tragedia dell’immigrazione, quella che si è verificata a Cutro, nei pressi di Crotone, all’alba del 27 febbraio. Un primo bilancio ipotizza quasi 70 vittime ma si teme un numero ben più alto.
Cutro come Lampedusa, nell’anno in cui dovremo ricordare i 10 anni dalla strage del 3 ottobre del 2013, quando le vittime furono 368. Si calcola che in dieci anni nel Mediterraneo siano morti 26.000 migranti.
Dieci anni sono tanti e 26.000 morti sono un peso morale intollerabile per la coscienza italiana ed europea. E’ quindi possibile e doveroso interrogarsi su che cosa si sia fatto per proteggere la vita dei migranti sulla rotta mediterranea.
Dopo la strage di Lampedusa, furono attivati dei dispositivi di soccorso in mare come Mare Nostrum o Sofia: unità della Guardia costiera, della Guardia di finanza e, successivamente, di varie marine militari europee venivano così utilizzate per pattugliare le rotte migratorie e garantire soccorso nel caso di un naufragio. Fu una stagione breve, raccontata in film e fiction televisive che esaltavano la professionalità delle forze militari italiane; capitani e capitane che assistevano alla nascita a bordo di bambini divennero eroi popolari che esprimevano lo spirito umanitario italiano. In quella stessa fase intervennero le prime ONG, associazioni private che varavano unità di ricerca e soccorso e, sempre in quegli anni, collaboravano efficacemente con i mezzi militari.
Poi intorno al 2017 il clima è cambiato. La presenza delle navi di soccorso invece che un presidio umanitario è diventata un “fattore di attrazione” dell’immigrazione irregolare, una calamita che invece che disincentivare le partenze le incoraggiava. Pull factor – fattore di attrazione – è diventata la parola chiave, dimenticandone però un’altra: push factor, fattore di spinta. E cioè le ragioni per cui la gente è pronta a sacrificare ogni danaro messo da parte e ad affidarsi alla cinica lotteria di un viaggio gestito da criminali senza scrupoli. Perché lo fanno? perché sono padri e madri incoscienti e irresponsabili, come fuori tempo e fuori luogo moraleggia qualche ministro italiano? No, lo fanno perché sono disperati, privi della più remota speranza che la loro permanenza in Libia, nelle aree desertificate dell’Africa subsahariana, nei campi profughi nel Nordafrica possa garantire loro il minimo per vivere e guardare al futuro.
E così è iniziata la guerra alle ONG, disprezzate come “taxi del mare”, accusate di complicità con gli scafisti.
Arriviamo così a qualche settimana fa, quando un ennesimo pacchetto di provvedimenti definiti “per la sicurezza” ha ulteriormente complicato le azioni di soccorso, allungato i tempi di ogni operazione di salvataggio e costretto le navi a lunghe navigazioni per raggiungere i porti assegnati sulla base del più irragionevole dei criteri: il più possibile lontano dalla zona critica dei salvataggi.
Il risultato è di fronte a noi: meno navi nelle zone di soccorso, operazioni più lente e salvataggi più difficili. Le vittime di Cutro sono la diretta conseguenza di questo dispositivo. Chi, invece, accusa i migranti di essere loro i responsabili delle morti si arrampica su vetri insaponati utilizzando argomenti illogici e privi di umanità.
In questo quadro, i corridoi umanitari promossi anche dalle chiese evangeliche italiane indicano una strada importante, avvalorata dalle recenti dichiarazioni della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che li ha citati come un asse strategico delle politiche europee dell’immigrazione. Ma attenzione, i corridoi umanitari per qualche migliaio di persone non possono essere l’alibi di un’Europa che costruisce muri e chiude le frontiere. Se devono diventare un asse strategico delle politiche europee dell’immigrazione, gli attuali numeri dei corridoi umanitari devono aumentare significativamente. Allo stesso tempo, occorre comunque rafforzare i dispositivi di soccorso in mare, almeno finché canali migratori ordinari non renderanno inutili le migrazioni irregolari. Questo suggerisce la logica delle cose.
Se invece si preferisce infierire sulle vittime, vuol dire che abbiamo perso non solo la strada della razionalità ma anche quella del diritto e dei principi umanitari.


Qui è possibile riascoltare la trasmissione Culto evangelico e in particolare la trasmissione di domenica 5 marzo 2023.