Debora Spini: lavoro e dignità sociale, una lettura protestante

La piazza centrale dell'Ateneo di Fisciano (Università di Salerno), dove si è tenuto il convegno FCEI “Lavoro ed etica del lavoro nel tempo della decrescita: storia, cambiamenti, diritti”. Aprile 2024

Roma (NEV), 12 aprile 2024 – Fra le voci del Convegno “Lavoro ed etica del lavoro nel tempo della decrescita: storia, cambiamenti, diritti”*, conclusosi da poco a Fisciano (Salerno), vogliamo riprendere quella di Debora Spini. Spini insegna alla Syracuse University in Florence e alla New York University in Florence.

“È quasi banale ricordare che il lavoro in ambito riformato sostanzialmente significa vocazione. Quindi, il lavoro costituisce il modo in cui chi crede risponde al dono – comunque immeritato – della salvezza” ha esordito Debora Spini nel suo intervento, intitolato “Il lavoro nella tradizione protestante”, a cui è poi seguito quello di Tiziana Faitini, docente presso l’Università di Trento, “Il lavoro nella tradizione cattolica”.

È importante tenere conto che, per Lutero, “non esistono lavori che di per sé siano più o meno onorevoli. Anzi. Il Signore può benissimo rovesciare le cose grandi per innalzare le piccole; quindi, da un certo punto di vista, è chiaro che questa affermazione è un potenziale estremamente emancipativo”. Al tempo stesso, si può rendere gloria a Dio “lì dove si è”, incluso nella vita familiare e infatti nel Grande catechismo Lutero dedica parole importanti al matrimonio e alla famiglia, andando oltre quella che potremmo definire una “opzione ascetica”. Paradossalmente, “qui c’è un rischio di interpretazione conservatrice. Mi viene in mente anche il pensiero gandhiano.  se ogni lavoro ha una sua dignità spirituale, non c’è dunque ragione di voler cambiare”. Se il lavoro è il terreno fondamentale nel quale si risponde alla vocazione di Dio, un primo nodo teologico riguarda l’interpretazione del testo della Genesi che dice ‘tu lavorerai con il sudore della tua fronte’. Nella tradizione medievale il lavoro tutto sommato era considerato come una forma di pena, nel quadro di una cornice ascetica o  penitenziale. Il concetto di lavoro, in ambito protestante, rompe con la tradizione medievale e anche con la tradizione monastica”.

C’è poi il problema del lavoro come sofferenza. Secondo Calvino, ha affermato Debora Spini, “il lavoro non deve essere solo dolore e fatica, anche perché sicuramente per Calvino il lavoro fa parte del piano generale di Dio per la felicità degli esseri umani. Il lavoro quindi non è il castigo per il peccato. Il peccato, piuttosto, ha introdotto nel mondo la sofferenza del lavoro, mentre il lavoro gioioso è segno della grazia del Signore. Mi sembra che questo sia un punto molto importante e presuppone che ogni persona possa scegliere la propria professione, esattamente perché si deve lavorare con gioia”.

Quanto alla vita ascetica, secondo Spini, “Calvino ritiene che ritirarsi in un deserto sia un atto contro la fraternità cristiana, quell’affetto cristiano che deve legare fra di loro gli esseri umani, in una relazione costruita sull’aiuto reciproco. Se non consideriamo la vocazione come regola perenne, non esisterà ferma condotta né armonia fra le varie parti della nostra vita: dal prendersi cura della propria famiglia a organizzare un progetto di vita di lungo corso, dove si è fedeli a se stessi”. In questo senso, lavoro e vocazione tengono insieme i concetti di responsabilità, di cooperazione, di etica.

Sul paradigma del dono, della gratuità, ha proseguito la studiosa, “è molto interessante vedere come molti ritengano che con la teoria della grazia di Calvino si crei un individuo pienamente funzionale al sistema capitalistico, in contrapposizione a un’idea del lavoro personale inteso come responsabilità verso il collettivo”.

Debora Spini, nella sua conclusione, ha poi voluto sottolineare altri due aspetti. Uno riguarda il percorso di affermazione dell’autonomia femminile, l’altro riguarda la dimensione intergenerazionale. “In entrambi i casi, dobbiamo tener conto del fatto che il lavoro (ben) pagato è stato per lungo tempo il vero snodo per la cittadinanza. Retribuzione e dignità sociale vanno tradizionalmente insieme, mentre non è ancora scontato il riconoscimento e la condivisione del lavoro di cura come valore collettivo. Sicuramente, la sfida che ci pone di fronte la società della crisi del lavoro è riconoscere l’esistenza di tutta una serie di relazioni operose di cura che servono a mandare avanti la società, e dar loro un adeguato valore sociale”.


Leggi anche: Un nuovo senso per la parola vocazione – L’Eco delle Valli Valdesi (riforma.it)


*Il Convegno è stato organizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) in collaborazione con l’Università degli Studi di Salerno e l’Istituto di Studi sul Mediterraneo (ISMed-CNR).