Roma (NEV), 7 giugno 2024 – Per approfondire il pensiero del teologo protestante Jürgen Moltmann, scomparso il 3 giugno 2024, abbiamo posto alcune domande al prof. Fulvio Ferrario
Prof. Ferrario, qual è secondo lei l’eredità più significativa di Jürgen Moltmann nel campo della teologia contemporanea e in che modo il suo pensiero ha influenzato il dialogo teologico?
Il nome di quest’autore resterà legato al tema della speranza. Naturalmente esso è inseparabile da quelli dell’amore e della fede, tuttavia, il tentativo di farne il punto di guardatura dell’intero messaggio cristiano è rimasto importante. Come tutte le parole fondamentali della fede, anche questa è esposta all’abuso e, ancor più, all’uso superficiale. Sperare, in fondo, significa semplicemente «vivere come se Dio esistesse». Non è il contrario del realismo, bensì un modo di guardare la realtà che include l’analisi sobria e disincantata, ma la vive all’interno della fiducia nella presenza di Dio.
Come conciliare il concetto di “Dio sofferente” di Moltmann con quello di onnipotenza divina? In che modo questa visione ha contribuito a una nuova comprensione della relazione tra Dio e l’umanità?
La morte in croce di Gesù come luogo della rivelazione piena del volto di Dio non è del solo Moltmann: c’è una linea che parte dai primi due capitoli della I lettera ai Corinzi, passa attraverso Lutero, Bonhoeffer e giunge a Moltmann, Jüngel e, oggi, molti altri. L’onnipotenza di Dio non è come la potenza del presidente americano, moltiplicata all’infinito (chiamiamola: «onnipotenza nella forma del dominio»; essa è la volontà di Dio di rivolgersi all’essere umano e alla creazione tenacemente e senza riserve; non passando accanto al dolore e alla morte, bensì attraversandoli. Possiamo chiamarla «onnipotenza dell’amore», assumendo il rischio di impiegare un’altra parola consumata dall’uso. L’importante è sottolineare che il contenuto di «amore» non è un sentimento, per quanto nobile, ma appunto l’atteggiamento di Dio in Gesù e la vita ad esso orientata.
Jürgen Moltmann e la “teologia della creazione”. Pensa che il movimento ecologico cristiano abbia tratto degli insegnamenti pratici dal pensiero di Moltmann? Cosa si potrebbe fare di più e meglio, sul piano della cosiddetta “eco-teologia”?
In primo luogo, direi che è Moltmann a ispirarsi dalla riflessione ecologica per ripensare l’idea cristiana di Dio creatore. Per quanto riguarda l’eco-teologia, esistono nelle chiese prospettive diverse e anche in reciproca tensione. Dal mio punto di vista, vedo due priorità: a) rifiutare la tentazione di forme di panteismo. Moltmann è attento a questo, ma non sempre, pare a me, lo sono molti/e tra quanti/e si propongono di oltrepassarlo. b) Ripensare il rapporto tra gli umani e il resto della creazione. L’idea di «antropocentrismo» (quella, cioè, di un essere umano che si concepisce come padrone onnipotente della creazione), spesso utilizzata come bersaglio fin troppo facile, non mi sembra permetta di affrontare costruttivamente i problemi che, in effetti, esistono e non sono piccoli. A volte, inoltre, mi colpisce (ma non mi stupisce) che settori criticissimi nei confronti di un’idea dello strapotere manipolativo degli umani siano poi iperliberisti in ambito bioetico e biotecnologico.
Quale messaggio ritiene che Moltmann abbia lasciato alle presenti e future generazioni di teologi e eco-attivisti?
Credo che Moltmann sia un punto di partenza: ricordiamo che il suo libro sulla creazione esce in tedesco nel 1985 e questi quarant’anni hanno significato parecchio. Le diverse prospettive odierne di teologia della creazione, tanto quelle che capisco meglio, quanto quelle che mi lasciano freddo, non possono che collocarsi oltre Moltmann: certo, come nani sulle spalle di un gigante.