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Home Ecumenismo e dialogo Commenti di alcuni testimoni oculari della visita di papa Francesco ai valdesi
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Commenti di alcuni testimoni oculari della visita di papa Francesco ai valdesi

L'agenzia stampa NEV ha raccolto i commenti di alcuni testimoni oculari della visita di papa Francesco ai valdesi, avvenuta il 22 giugno nel tempio valdese di Torino.

Di
Agenzia NEV
-
22 Giugno 2015
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    Paolo Ribet (pastore della chiesa valdese di Torino)

    L’incontro nel tempio valdese di Torino tra i rappresentanti della Chiesa valdese e papa Francesco è stato, come tutti noi speravamo, gioioso, sobrio e profondo – non solo i presenti hanno partecipato con intensità e commozione, ma anche i molti che hanno seguito l’evento in televisione, come testimoniano le tante email e sms che mi stanno arrivando in questi due giorni. I messaggi che abbiamo ascoltato, quello del moderatore Bernardini e quello di papa Francesco, hanno mostrato come ci si possa sentire fratelli e sorelle, pur partendo da storie e spiritualità diverse, e come si possa collaborare nella testimonianza, soprattutto in quella diretta verso i più deboli. Nel suo discorso, il pastore Bernardini ha posto con schiettezza sul tappeto alcuni dei problemi aperti nel dialogo fra le due Chiese – e con altrettanta franchezza il Papa ha risposto non nascondendo le difficoltà, ma formulando l’auspicio di un loro superamento. Questo è, a mio parere, il modo corretto di interpretare l’ecumenismo, come sinfonia di voci diverse. Certamente, molto forte è stato il passaggio del discorso in cui papa Francesco ha chiesto perdono per gli atteggiamenti “addirittura non umani” del passato. Si tratta di espressioni che fanno ben sperare anche per il dialogo nel tempo futuro. Come pastore di Torino, sono lieto che questo evento, bello e importante, si sia svolto nella mia città e che la comunità valdese torinese abbia risposto con entusiasmo.

    Alessandra Trotta (presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia – OPCEMI)

    Mi hanno particolarmente colpita la profonda commozione, in prima fila, di alcuni anziani esponenti del mondo cattolico ed evangelico che più si sono spesi nella loro vita in un cammino ecumenico che ha vissuto stagioni di grandi sogni e larghe visioni, ma anche di tiepida “ordinaria amministrazione” e di vere e proprie gelate; ed il valore di alcuni gesti, nuovi e significativi, compiuti in una naturale semplicità che ha talvolta un potere trasformativo che va al di là dei contenuti (più o meno innovativi) delle dichiarazioni ufficiali.

    Massimo Aquilante (presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia – FCEI)

    Non esito definire il 22 giugno una giornata dal valore storico, non soltanto per il fatto che dopo secoli un papa della chiesa di Roma ha varcato la soglia di un tempio valdese – evento di grandissimo rilievo -, ma per l’intensità, la spiritualità di quell’ora trascorsa insieme che va ben al di là di qualsiasi evento di natura diplomatica o di scambi di conoscenza. E’ stato veramente un evento vissuto nella luce di Cristo, alla luce della parola di Dio, nella consolazione e nella benedizione dello spirito di Dio. Questo è il punto essenziale. Vorrei poi sottolineare con forza che il Papa per due volte ha chiesto perdono a nome della chiesa di Roma, certamente al popolo e alla chiesa valdese, però di fatto a tutto il protestantesimo italiano.

    Paolo Ricca (teologo valdese)

    L’impressione è certamente molto positiva. Si è trattato di un fatto storico in senso assoluto, direi un preludio a una storia che deve cominciare. Una storia diversa da quella passata e le premesse mi sembrano buone, anzi eccellenti. L’atmosfera era molto bella, fraterna, amichevole, non diplomatica, con dei sentimenti di fraternità cristiana molto marcati, molto evidenti, e certamente molto sinceri. E’ stata una bella pagina, ripeto. Un preludio promettente che ovviamente si tratta ora di costruire. La richiesta del perdono significa che si vuol cominciare una storia diversa con voi e quindi ora si tratta di scriverla questa storia! Ma appunto l’incontro di ieri è stato sicuramente positivo, costruttivo: può autorizzare delle belle speranze.

    Heiner Bludau (decano della Chiesa evangelica luterana in Italia-CELI)

    Con grande gioia ho partecipato alla visita di Papa Francesco presso il tempio valdese di Torino. Siamo legati ai valdesi per mezzo della concordia di Leuenberg, il che significa che viviamo con loro la comunione ecclesiale come “diversità riconciliata” – un concetto che il Papa ha menzionato già alcune volte e che il moderatore Bernardini ha ricordato durante l’incontro. Spero che al momento davvero storico di lunedì scorso seguano ulteriori passi verso l’unità di tutti i cristiani.

    Emanuele Paschetto (pastore dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia – UCEBI)

    Un incontro bello ed emozionante. Bello per semplicità e genuinità, senza ossequi formali, né parole superflue. Come richiede il momento storico che viviamo: le urgenze dell’umanità spingono i cristiani alla concretezza e all’essenzialità. Emozionante per la simpatia di papa Francesco, le sue parole senza retorica, i suoi gesti umili e profondi, come la richiesta di perdono per le violenze del passato. Le questioni poste dal moderatore Bernardini circa il riconoscimento dei protestanti come Chiese e l’ospitalità eucaristica troveranno di certo risposta.

    Don Cristiano Bettega (direttore dell’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo della CEI)

    Molte voci si sono trovate d’accordo nel definire la visita di papa Francesco al tempio valdese di Torino un evento di portata storica. Ed è senz’altro così: era nell’aria già da tempo che non si sarebbe trattato di una visita di cortesia, come quelle che diventano occasione (sempre una bella occasione, per altro) per far due chiacchiere. No, qui c’è stato molto di più: la schiettezza dei discorsi e delle indicazioni per un cammino propositivo e da fare insieme, la spontaneità e il calore dei gesti, la solenne semplicità della preghiera comune, il sorriso della festa e la volontà di una reciproca accoglienza riconciliata, tutto mi sembra possa e debba essere riassunto in un appellativo che non può mai essere dato per scontato: fratelli. Espressamente pronunciata nei saluti e discorsi ufficiali, profondamente respirata sotto le volte del tempio ottocentesco, chiaramente riconosciuta tra gli sguardi dei presenti, mi pare che proprio questa parola sia stata la “padrona di casa”: fratelli. Tali ci siamo sentiti, e come tali ci siamo incontrati, a testimonianza del fatto che è possibile vivere da fratelli, nel rispetto, o meglio: nell’accoglienza delle rispettive diversità. Quel monito del Cristo, “siano uno perché il mondo creda”, lunedì mattina è divenuto realtà; ora l’impegno di tutti i discepoli del Signore Gesù – non solo quindi delle Chiese che si sono incontrate a Torino – è quello di non archiviare come fosse una foto ricordo quella che invece è stata una reale esperienza di fede: esperienza di Dio Trinità, di quel Dio che unisce in sé il singolare e il plurale.

    Davide Romano (direttore Dip. Affari pubblici e libertà religiosa dell’Unione avventista-UICCA)

    In eventi come questo si teme sempre che il risalto mediatico dell’iniziativa e l’ovvio paludamento liturgico, non lascino spazio ad un autentico incontro tra fedi cristiane. A dispetto di questo pregiudizio, l’occasione si è rivelata invece propizia anche ai fini di un discorso sincero sullo stato dei rapporti ecumenici tra i valdesi, ma si potrebbe dire tra gli evangelici, e il cattolicesimo romano. Il papa ha compiuto un gesto di grande sensibilità sul piano storico ed etico, chiedendo perdono per il modo “non cristiano e sovente disumano” in cui la chiesa di Roma ha trattato i valdesi in otto secoli di storia. Rimangono tuttavia una serie di interrogativi che probabilmente molti evangelici, e anche noi avventisti, ci portiamo a casa. Ne indico due: la definizione da parte cattolica delle chiese evangeliche come mere “comunità ecclesiali” e la questione della laicità e della libertà religiosa in Italia. Su queste questioni, a noi evangelici, e per quanto ci riguarda a noi avventisti, spetta l’onere della prova di voler essere interlocutori fraterni e operosi di questo grande mondo cattolico e delle tante anime che lo abitano e lo interpretano, compresa quella di papa Francesco.

    Piergiorgio Debernardi (vescovo di Pinerolo)

    E’ stato un evento ricco di emozioni, carico di sorpresa e meraviglia che ci ha riempito di gioia. Non esito a parlare di uno spartiacque della storia che segna un modo diverso di vivere l’ecumenismo: un evento preparato da decenni dalle nostre due chiese, attraverso un lento e faticoso cammino. Per me è un sogno che si avvera. Un sogno che però ha radici profonde nel terreno della nostra storia comune. Mi sono davvero commosso quando c’è stato l’abbraccio fra il moderatore Bernardini e papa Francesco, dopo quella storica richiesta di perdono, ripetuta due volte. L’abbraccio: questo gesto che ci fa chiudere definitamente pagine oscure. Certo, non si può dimenticare la storia. Ma quell’abbraccio ci aiuta a riprendere un cammino come chiese riconciliate nella diversità. E sono rimasto sinceramente sorpreso quando papa Francesco ha citato lo scambio del pane e del vino avvenuto in occasione della scorsa Pasqua tra le nostre due chiese di Pinerolo. Uno scambio di doni che rafforza la fraternità e che ci aiuta ad essere più credibili nell’annuncio del Vangelo. Su suggerimento di Sergio Rostagno (ndr: professore emerito di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia), avevamo cominciato a lavorarci insieme più di due anni fa. L’ecumenismo si può definire in tanti modi. Dallo scorso 22 giugno lo definisco come abbraccio nel tempo che prelude l’unita perfetta e indistruttibile che ci sarà nei cieli nuovi.

    Questa raccolta è tratta dal DOSSIER speciale sulla visita di papa Francesco dai valdesi, uscito come supplemento del nostro bollettino settimanale del 24 giugno 2015. Richiedilo qui: nev@fcei.it – è gratis.

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