Radio e sport. Rivali delle religioni o nuovi mezzi per vecchi bisogni?

I podcast radiofonici stanno sostituendo la chiesa?  Lo sport sta “crocifiggendo” la religione? Il dibattito è aperto

In alto, Tripp Fuller (a destra), conduce una discussione in podcast dal vivo per la McAfee School of Theology della Mercer University di Atlanta (Foto tratta da baptistnews.com per gentile concessione di Tripp Fuller). Sotto, Bjorn Borg a Wimbledon nel 1980, dopo la storica finale con John McEnroe.

Roma (NEV), 13 agosto 2019 – C’è qualcosa in comune tra la religione, la radio e lo sport? Forse il senso di appartenenza a qualcosa, forse la fedeltà, forse una ricerca di senso. Cosa succede quando le chiese si svuotano e gli stadi si riempiono? Cosa succede quando l’informazione tradizionale si trasforma, ma rimane il bisogno di un “medium” che sappia anche ascoltare e donare a tutti un sano protagonismo?

“Gli ascoltatori ascoltano i podcast mentre guidano, mentre corrono, mentre fanno le faccende e altre attività. Questa flessibilità è uno dei punti di forza del formato. E, ascoltando regolarmente un programma, può nascere una vera intimità. Ti senti davvero come se fossi parte di qualcosa”. Sono le parole di Tripp Fuller, pastore battista la cui trasmissione “Cristianità fatta in casa” (Homebrewed Christianity) attira decine di migliaia di ascoltatori a ogni puntata, che è scaricata più di 3 milioni di volte in un anno, come riferisce Jeff Brumley su BaptistNews.com

Facciamo un passo indietro. Il podcasting è, come lo definisce il dizionario New Oxford che l’ha dichiarato parola dell’anno 2005, la “registrazione digitale di una trasmissione radiofonica o simili, resa disponibile su internet con lo scopo di permettere il download su riproduttori audio personali”. La percentuale di americani che ascoltano podcast è in aumento, secondo un recente sondaggio dell’emittente statunitense CBS, e riguarda tutte le fasce di età. I podcaster trattano di tutto: sport, storia, finanza, politica, religione. I podcast di ispirazione spirituale forniscono letture, studi biblici, prediche, preghiere, interviste a noti teologi.

“Molte persone che hanno rinunciato alla chiesa, ma non necessariamente alla fede, trovano ispirazione spirituale nei podcast – dice ancora Fuller –. Altri trovano guarigione dalla fede tossica che hanno vissuto. Un podcast popolare come quello dei ‘liturgisti’, comunità globale che sovverte le barriere di appartenenza di religione, razza, genere e orientamento sessuale, risponde al bisogno di persone estraniate spiritualmente, e fungono da comunione per coloro che si sono allontanati dalle istituzioni religiose”. Tra gli ascoltatori di Fuller ci sono ministri e laici che non osano porre domande teologiche approfondite nelle loro stesse congregazioni; ci sono atei e cristiani ultra-conservatori, a cui piace lamentarsi del contenuto; ci sono teologi, studiosi di religione, leader e accademici, persone di quasi tutte le denominazioni. BaptistNews.com parla di “proliferazione di programmi religiosi, al passo con quelli sulla salute e sportivi”.

A proposito di sport, assistiamo allo sdoganamento di un nuovo linguaggio: “Per descrivere le prodezze o gli insuccessi degli atleti e dei club, i commentatori prendono in prestito il vocabolario delle religioni” osserva Anne-Sylvie Sprenger su Réformés (traduzione in italiano di G. M. Schmitt, su VoceEvangelica.ch).

“Federer crocifigge Nadal”, “Alaphilippe è grande”, club “risorgono” e riconquistano “fedeli”, altri sono nella “via crucis”. Sprenger interpella sul tema il teologo Olivier Bauer, specialista di teologia pratica all’Università di Losanna, che da tempo studia i legami equivoci tra sport e religione. “Alcuni praticano l’hooliganismo nella loro religione e altri nel loro sport. In entrambi i casi si tratta di pulsioni, voglie, istinti. Dipende purtroppo dalla natura umana. Ci sono poi meccanismi sociopsicologici che possono esacerbare la rivalità: i grandi assembramenti, la folla, l’anonimato” sostiene Bauer, che parla anche dell’identificazione di “dio” nella performance sportiva, in una squadra, in un atleta. Eppure, continua il teologo, “Lo sport ha sempre rispettato le tradizioni religiose. L’esempio tipico è Wimbledon, dove ancora oggi non si gioca la domenica – e conclude -. Forse non dovremmo esitare a concepire la religione come uno sport. Le persone si accalcano per assistere a una partita di calcio. Sono capaci di andare a correre ogni sera della settimana, di integrare lo sport nei loro impegni, mentre hanno enormi difficoltà a trovare il tempo per recarsi a una conferenza, a un culto o a uno studio biblico. La religione non dovrebbe interrogarsi sul nostro rapporto con il corpo, sul ruolo del movimento e sul piacere di superarsi?”.

Per concludere, nel mondo post-cristiano della libertà virtuale, dove certe istituzioni sembrano superate, i nuovi strumenti e i nuovi linguaggi si stanno plasmando per rispondere a vecchi bisogni. Credenti o no, come orfani di qualcosa, siamo alla costante ricerca di una ricetta di felicità, in fuga dalle frustrazioni e in cammino verso ispirazioni e aspirazioni (sociali, culturali, fisiche, spirituali…)