Bolivia. No alla Bibbia usata per sovvertire l’ordine istituzionale

La carta pastorale dell'Alleanza delle Chiese presbiteriane e riformate dell'America Latina. Intervista al segretario esecutivo dell’AIPRAL Dario Barolin

Roma (NEV), 17 novembre 2019 – Il comitato esecutivo dell’Alleanza delle Chiese presbiteriane e riformate dell’America Latina (AIPRAL) si è pronunciato di fronte alla gravissima crisi politica e sociale nel quale è precipitata la Bolivia. In una lettera pastorale AIPRAL ha espresso dolore e ripudio per il colpo di stato ed estrema preoccupazione per l’utilizzo della Bibbia “per giustificare l’abuso dell’ordine istituzionale e manifestare odio verso le nostre sorelle e fratelli dei popoli originari”.

L’Agenzia NEV ha intervistato Dario Barolin, segretario esecutivo dell’AIPRAL.

In che modo le chiese stanno vivendo questa ondata di instabilità in America Latina?

Le nostre chiese sono sconvolte per questa situazione di conflitto e tensione, per la mancanza di volontà di dialogare. Dobbiamo dire che anche all’interno delle nostre chiese si sta vivendo una polarizzazione molto forte su questi temi, e questo rende complicato il nostro lavoro.  Quello che cerchiamo di fare è quindi informare e proporre testi che possano stimolare un dibattito nelle chiese e spingano i membri a riflettere su quanto sta accadendo.

Quali sono, a vostro parere, le cause di questa situazione così conflittiva?

La situazione è molto complessa. Credo che sia importante sottolineare che nella storia dell’America latina non c’è stato un solo governo di sinistra che abbia fatto un colpo di stato. Sono eventi che si sono prodotti sempre a partire dalla destra politica e sempre con il sostegno dell’ambasciata degli Stati Uniti. Gli unici governi latinoamericani che sono arrivati al potere dopo una rivolta popolare sono quelli di Cuba, nel 1959, e del Nicaragua, nel 1979, ma in entrambi i casi la rivolta ha deposto due dittatori. La storia dell’America latina dimostra che le forze armate, i settori legati all’imprenditoria, la chiesa, specialmente quella cattolica, ma negli ultimi tempi anche quella pentecostale, si uniscono per favorire governi di destra.

Ogni paese ha la sua peculiarità. Il Cile è un paese che ha avuto uno sviluppo economico avanzato ma è anche uno dei paesi della regione in cui la breccia della disuguaglianza è più grande. In Cile, come anche in Ecuador, la dinamica delle rivolte è legata quindi all’iniquità sociale dovute alle politiche di aggiustamento strutturale che i governi neoliberali hanno implementato, con educazione e salute privatizzati ad esempio. In Argentina questa protesta si è canalizzata sul processo elettorale. Invece in Brasile e in Bolivia ci sono stati governi di sinistra che sono riusciti ad avere grandi livelli di ridistribuzione e di inclusione; non sono ovviamente esenti da errori e da episodi di corruzione e mala gestione. La rabbia della destra in questi paesi però non è legata ai processi democratici ma alle politiche di inclusione; si tratta di movimenti di destra con una forte impronta patriarcale, anti-indigena. Questo è chiarissimo in Bolivia nel gesto dei militari di togliere dalla propria uniforme la Whipala, bandiera dello stato plurinazionale.

Come vi spiegate questo uso di simboli religiosi nei processi politici?

Ci spaventa molto l’utilizzazione della religione come arma, un fenomeno che era scomparso nei nostri paesi negli ultimi 15 anni. La presenza dei movimenti pentecostali e neopentecostali è in forte aumento; questi, al contrario delle chiese evangeliche storiche, non condividono il principio di separazione tra stato e chiesa, sostengono un discorso integralista, messianico, che identifica i leader politici con la figura divina, e hanno perso quello che per il protestantesimo è fondamentale e cioè la non identificazione di progetti umani con i progetti divini. Anche loro sono legati alla destra conservatrice.

Ciò che colpisce è che l’Europa, che mostra preoccupazione per la rinascita di movimenti di matrice fascista nel suo territorio, non riesce a riconoscere la stessa pericolosità agli stessi fenomeni che si stanno producendo in America latina; ha una reazione debole e non si rende conto di quanto tutto questo metta in discussione i diritti umani, specialmente dei settori più vulnerabili che sono i gruppi indigeni, afrodiscendenti, le donne, la comunità LGBTQI+.

Come chiese protestanti ci sentiamo quindi più che mai chiamati ad insistere sul principio di separazione tra stato e chiesa, sulla laicità.