Annapaola Carbonatto (FGEI): Visione e creatività per il post covid

La seconda ondata della pandemia rappresenta un’occasione per elaborare il passato e ripensare il futuro. La Federazione giovanile evangelica in Italia porta il suo contributo. La Segretaria Carbonatto: “C’è il timore di fare un salto nel vuoto; è una sfida a cercare di vincere la propria necessità di certezza e di punti fermi, ma vogliamo essere pronti sui territori per l’incontro e il confronto, con speranza ed energia”

Annapaola Carbonatto

Roma (NEV), 11 novembre 2020 – La Federazione giovanile evangelica in Italia (FGEI) raccoglie giovani credenti di diverse provenienze e organizza incontri di formazione locali e nazionali su temi di interesse politico e sociale, partecipando attivamente alla vita delle chiese battiste, metodiste e valdesi.

Abbiamo chiesto alla Segretaria Annapaola Carbonatto di raccontarci come la FGEI sta affrontando questo periodo di pandemia e le sue proposte.

Il covid ha fermato molte attività in ogni settore. Cosa avete portato avanti come FGEI?

Per forza di cose i nostri campi ed eventi sono stati annullati. Dall’inizio della pandemia abbiamo avuto una riunione telematica ad aprile e due in presenza, in ottemperanza alle norme anti covid, a luglio e ottobre. Quest’ultima si è svolta in Toscana a Casa Cares, dove abbiamo avuto tutta la struttura a disposizione.

Sono state occasioni per confrontarci e inseguire il cambiamento che abbiamo vissuto in questi mesi, a livello sociale e personale. A ottobre abbiamo inoltre avuto quella che noi informalmente chiamiamo la “CA12”, cioè una riunione consultiva e deliberativa “allargata”, secondo l’articolo 12 del nostro statuto.

È una sessione in seduta più ampia a cui partecipano tutte le persone che ricoprono un ruolo nella Federazione, dai responsabili del web e del notiziario, ai redattori della rivista GE (Gioventù evangelica), ai referenti territoriali e internazionali.

Avete parlato della pandemia nelle vostre ultime riunioni?

Della pandemia abbiamo parlato principalmente a livello di Consiglio. Durante la CA12, invece, non abbiamo voluto che il covid fosse il tema principale. È stata una riunione operativa su altri aspetti più pratici, anche in preparazione del Congresso che speriamo di poter organizzare in presenza nel 2021.

Il venerdì sera ci siamo ritagliati un momento di cura dedicato all’elaborazione di come abbiamo vissuto questi mesi, di come ci siamo sentiti, delle nostre paure.

Quali riflessioni vi sentite di condividere e come state attraversando emotivamente questo periodo?

La percezione cambia moltissimo da persona a persona. Abbiamo visto che cambia in base alle nostre specificità di lavoro, di studio, di esperienze personali, affetti, famiglie. Ci sono persone che stanno a casa con i genitori e altre che si sono trasferite per motivi di studio. Le diverse comunità e chiese di appartenenza, ognuna delle quali ha seguito le direttive della Tavola valdese o dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (UCEBI), hanno inoltre reagito in modo diverso e influenzato la nostra elaborazione individuale e collettiva.

È stato un periodo molto faticoso, non solo a livello generale della FGEI, ma anche singolarmente. Paradossalmente, però, sono stati quasi più facili i mesi di confinamento di marzo e aprile, perché era più chiaro cosa potevamo fare: cioè… restare a casa.

Casa Cares, riunione FGEI ottobre 2020

Cosa è accaduto dopo la fase 1?

Quando siamo usciti per cercare di riprendere ciascuno e ciascuna la propria routine e la propria vita, si è avvertita la fatica. Non tutti e non tutte hanno riprese a fare le stesse cose di prima. Alcuni studenti hanno continuato a dare esami e a fare lezioni online; ancora adesso, nella sessione autunnale, è così. E le matricole universitarie non hanno mai fatto lezione in presenza.

Cosa vi è mancato di più?

Come Consiglio abbiamo cercato di restare in contatto fra noi, con le singole persone e con i gruppi. Resta il desiderio di volersi incontrare. Ci manca la presenza fisica. La Federazione ha le sue modalità, nei campi e negli eventi, difficili da trasportare online. L’incontro virtuale ti obbliga a fare cose più frontali e l’animazione è difficile, soprattutto su grandi numeri.

Cosa ti piacerebbe dire a chi ti sta leggendo? Qual è il tuo “messaggio nella bottiglia”?

Sto imparando, in questi mesi, a non dare per scontato tutte le cose che abbiamo e il funzionamento delle organizzazioni di cui facciamo parte. Questa è un’occasione ed è uno stimolo a cercare di ripensarci, di reinventare, di provare a fare delle cose nuove. Siamo senza punti di riferimento, proprio in questa situazione. Non abbiamo un metro di paragone, perché nei 51 anni di vita della FGEI una cosa del genere non è mai accaduta, nemmeno a chi ne ha fatto parte in passato.

Qual è secondo te il maggiore ostacolo?

C’è il timore di fare un salto nel vuoto, di non sapere cosa accadrà il prossimo mese, mentre cerchiamo di programmare sul lungo periodo; è una sfida a cercare di vincere la propria necessità di certezza e di punti fermi.

Quale può essere il contributo della FGEI?

Nella FGEI ci sono caratteristiche e modalità che rimangono, ma il nostro mandato è stato completamente stravolto. In primavera abbiamo fatto il culto FGEI nella modalità “zoom worship”. Nessuno aveva mai immaginato di poter essere in 300 persone insieme, come gruppo interdenominazionale e interregionale.

Nei prossimi mesi vorremmo lavorare sul locale. In attesa che le situazioni siano migliori, vogliamo essere pronti sui territori per l’incontro e il confronto, con speranza ed energia.