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G20 religioni, Peacock (CMCR): “Uniti contro le disuguaglianze”

Intervista con il Segretario generale facente funzione per i programmi della Comunione Mondiale delle Chiese Riformate, che abbiamo incontrato a Bologna, in occasione del G20 delle religioni che si è chiuso ieri. Tasse sui grandi patrimoni e per le multinazionali e lotta al patriarcato tra le sue priorità.

Di
Barbara Battaglia
-
15 Settembre 2021
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    Roma (NEV), 15 settembre 2021 – Si è concluso ieri il G20 Interfaith Forum 2021 con la cerimonia finale alla quale ha partecipato il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi. Con più di 370 partecipanti, il G20 delle Religioni ha riunito a Bologna delegati da 70 Paesi, in 32 sessioni di lavoro. 160 relatori, 94 tra politici e diplomatici, 50 autorità religiose e 93 esperti, giunti nel capoluogo dell’Emilia-Romagna “con l’obiettivo di costruire uno spazio di incontro e di dialogo, stimolando il dibattito sul tema al centro del Forum, “Time to Heal”, il tempo della guarigione”, come si legge nella nota conclusiva dell’evento.

    Philip Vinod Peacock
    Acting General Secretary for Programmes
    World Communion of Reformed Churches

    Abbiamo intervistato alcuni tra questi esponenti di chiese, con un focus particolare sulla rappresentanza evangelica internazionale. Il primo è Philip Vinod Peacock, Segretario generale facente funzione per i programmi della Comunione Mondiale delle Chiese Riformate (CMCR, in inglese World Communion of Reformed Churches, WCRC), docente di teologia e diacono della Chiesa dell’India del Nord.

    Quali sono state le sue prime impressioni sui lavori del Forum?

    E’ importante che vi siano incontri inter religiosi di questo tipo tra le varie comunità di fede, occasioni come questa di confronto al fine di presentare un’agenda molto chiara e specifica su ciò che chiediamo al G20. Tuttavia, penso che alcune delle richieste e delle deliberazioni siano troppo “conservatrici”, forse potremmo essere più enfatici su ciò che vogliamo, in particolare come comunità di fede.

    Su quali temi ritiene ci vorrebbe più enfasi, più coraggio?

    In particolare su due elementi all’ordine del giorno. Il primo è la crisi climatica: che è reale, e necessita dunque una domanda più profonda e chiara per quanto riguarda l’azione concreta di contrasto ai cambiamenti climatici e rivolta alla tutela del creato. In secondo luogo, a proposito delle disuguaglianze economiche, legate anche a questo momento di crisi: dovrebbero esserci indicatori molto chiari su come agiremo su questo fronte. Sarebbe necessario chiedere una tassazione sui più ricchi.

    Le chiese riformate sono da sempre impegnate sul tema della giustizia, di genere, economica ed ecologica, a partire dalla Confessione di Accra del 2004. Come continua questo impegno?

    Sulla giustizia economica, abbiamo problematizzato la confessione di Accra in una nuova architettura finanziaria ed economica internazionale, un programma collaborativo, realizzato insieme al Consiglio Ecumenico delle Chiese, alla Federazione Luterana Mondiale, al Consiglio Metodista Mondiale, al Consiglio per la Missione Mondiale. In questa campagna, stiamo lavorando a due livelli. Il primo riguarda l’attività di advocacy che facciamo con le nostre chiese, che rappresentano circa mezzo miliardo di persone in tutto il mondo, in particolare verso le organizzazioni finanziarie internazionali e le Nazioni Unite, sia per democratizzare queste istituzioni, sia per esortarle a lavorare per il bene delle masse, in tutto il mondo, piuttosto che servire gli interessi di pochi. Nel 2019 abbiamo lanciato una campagna fiscale, la #ZacTax, il progetto Zaccheo, per una giusta tassazione, che prosegue e continua a ricevere sostegno e adesioni. Chiediamo un’imposta sulle grandi ricchezze, una tassa sulle transazioni finanziarie e una specifica contro i cambiamenti climatici. Le industrie che inquinano devono pagare una tassa ad hoc. Così come crediamo che le società e i singoli che hanno fatto molti soldi durante la pandemia vadano tassati, con una tassa una tantum che possa ad esempio contribuire ad un servizio sanitario globale universale. Le grandi multinazionali, come Amazon e Google, hanno incrementato i loro guadagni durante questa crisi, ora devono dare il loro contributo. Chiediamo infine fondi per un sistema completo di riparazione per i danni della schiavitù e del colonialismo.

    A proposito di ecumenismo e dialogo, quali le principali sfide che state affrontando?

    Ad essere onesti, al momento l’ecumenismo sembra essere molto focalizzato sulla situazione dell’unità della Chiesa. Ciò è importante, naturalmente, ci sono persone che sembrano crescere nelle proprie tradizioni confessionali senza perdere l’attenzione sulla visione più ampia di un orizzonte ecumenico. Ma mentre si stanno facendo questi passi verso l’unità, penso sia anche importante porci la domanda: “che cosa ci unisce?” E penso che la risposta sia, in particolare in questo momento in cui la pandemia ha rivelato così tante disuguaglianze nel mondo, che dobbiamo essere uniti per il bene della giustizia per tutti.

    Come hanno reagito le chiese di fronte alla pandemia del Covid19 e a tutto ciò che ha comportato?

    Le singole chiese sono molto impegnate ed attive, a livello locale, in tutto il mondo. Sia per diffondere informazioni e accrescere la consapevolezza sanitaria, che con altri tipi di interventi, ad esempio negli Usa, dove c’è una grande domanda di assistenza sanitaria universale, o in altri Paesi in Asia, duramente colpiti dalla crisi economica a seguito del lockdown, col sostegno ai lavoratori migranti e alle persone che non hanno avuto accesso ai beni di uso quotidiano. Abbiamo sostenuto alcune di queste iniziative attraverso piccole sovvenzioni. Questo per quanto riguarda il lato “pratico”, ma per noi della comunità riformata, questo è in realtà un momento apocalittico. Apocalisse in senso biblico: non cioè un grande disastro ma uno svelamento di ciò che sta accadendo, delle disuguaglianze pre esistenti, si svela la realtà. Usiamo spesso questo linguaggio della “nuova normalità” ma quello che stiamo cercando di portare in primo piano è che ciò che è normale è molto opprimente, per tante persone. Così nella vita di tutti i giorni, per esempio, nella lingua che parliamo, nel modo in cui organizziamo il nostro mondo, il patriarcato è radicato: anche solo usando la parola “mankind (genere umano)” escludiamo metà del mondo. Quindi, ciò che è “normale” spesso non va bene, è uno spazio in cui si manifesta l’oppressione. Vogliamo un altro mondo, non una nuova normalità, ma qualcosa di radicalmente diverso. Per noi questa visione è teologica. L’ingresso in questo nuovo spazio avviene attraverso il sacramento della comunione, che è anche essa un momento semplice, un pasto. Ma mangiare insieme non è più possibile in tempi di pandemia. Quindi dobbiamo tornare anche simbolicamente a un luogo dove possiamo sederci a tavola, riconoscendo che tutti i tavoli sono spazi sacri, non solo quelli in chiesa, ma anche quelli della sale riunioni in cui vengono prese le decisioni che influenzano – e dovrebbero tutelare – la vita delle persone. Con il rinnovo dei voti battesimali muoriamo rispetto alla vecchia vita e resuscitiamo a una nuova, in un nuovo spazio trasformato in cui ci sia abbondanza per tutti.

    Migranti e situazione afghana: cosa stanno facendo le chiese riformate?

    Lavoriamo a stretto contatto con la Commissione delle chiese per le migrazioni in Europa e con tutte le realtà delle chiese impegnate in particolare su questi temi. Le nostre chiese in Grecia ed Italia sono ancora più “in prima linea” nell’accoglienza. Su scala globale, poi, siamo stati al confine tra Usa e Messico, a El Paso, abbiamo visto come stavano fermando le persone alla frontiera e a Washington abbiamo sostenuto le iniziative delle nostre chiese, anche in termini di advocacy. Ci siamo anche spesi per la crisi in Myanmar, in Libano e in Siria. Sull’Afghanistan, dove però non ci sono chiese membri quindi non abbiamo una “voce” diretta, abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere un impegno per la tutela della popolazione.

    In generale rispetto al tema delle migrazioni c’è stato a mio avviso un netto cambiamento negli ultimi anni: l’Europa è stata in passato molto più accogliente di quanto non lo sia ora. Anche il Covid19 è stato usato in qualche modo come un mezzo, un pretesto per chiudere ancora di più i confini e non permettere alle persone di migrare. I migranti sono stati spesso visti come untori. Quindi credo che la pandemia abbia portato a una battuta d’arresto in termini di diritti dei migranti. Allo stesso tempo, sappiamo che molte delle nostre chiese hanno fornito ospitalità e accoglienza, cercano cioè di fare la loro parte. Ricordiamo ad esempio il caso della chiesa protestante nei Paesi Bassi che riuscì a evitare l’espulsione di una famiglia di profughi, continuando a celebrare un culto per giorni.

    Per un anno non ci sarà un nuovo segretario generale della Comunione mondiale delle chiese riformate, ma la responsabilità sarà condivisa da un segretariato collettivo. Questa struttura può diventare una nuova espressione di leadership?

    Abbiamo cambiato la nostra organizzazione e ora stiamo lavorando in un segretariato generale collettivo, in cui siamo in tre a lavorare insieme, dopo che per quattro anni sono stato segretario esecutivo per la giustizia e testimonianza (il pastore Chris Ferguson, segretario generale uscente, ha terminato il suo mandato dopo sette anni lo scorso 31 agosto, ndr). Questa nuova forma collettiva di organizzazione significa anche che le decisioni saranno più collettive. Stiamo cercando di lavorare attraverso il discernimento e il consenso, e tutte le decisioni sono prese in forma collegiale. Quindi stiamo anche andando verso una nuova forma di leadership, che crediamo sia veramente riformata. Resta purtroppo un problema di genere e di rappresentanza femminile, di cui siamo coscienti. Questo deve cambiare, e speriamo di farlo molto presto in realtà”.

     


    La Comunione mondiale delle chiese riformate (CMCR) riunisce più di 225 chiese protestanti in oltre 110 paesi.

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