Lampedusa (NEV), 9 dicembre 2021 – È l’ultimo giorno di un novembre fin troppo piovoso. Riparate/i nel nostro ufficio, lasciamo che sia la connessione internet a farci arrivare fino all’altra sponda del mare, dove si trova Romdhane Ben Amor, responsabile per la comunicazione del Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES). Quello che segue è un resoconto dei punti salienti della nostra chiacchierata, che ha intrecciato insieme tanti fili diversi, restituendoci un quadro denso e significativo di quello che accade a poche decine di chilometri dalla nostra isola.
Cos’è il Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali, e di cosa si occupa.
Il FTDES è nato nel 2011, all’indomani della rivoluzione. Nel corso di questi dieci anni si è molto ampliato, ed oggi è diviso in varie sezioni, sparse in diverse regioni della Tunisia. Il Forum monitora le partenze e i rimpatri delle/dei cittadine/i tunisini e delle/i richiedenti asilo/rifugiati che si trovano sul territorio tunisino, investiga sui sistemi di traffico di persone e sul ruolo dei passeurs nelle nuove tendenze migratorie, indaga sulle violazioni dei diritti umani e sulle motivazioni che spingono le persone a partire. Il lavoro di monitoraggio si svolge anche nei campi rifugiati che si trovano in Tunisia (per esempio, il campo di Choucha al confine con la Libia). FTDES presenta ogni mese report statistici sul lavoro di monitoraggio.
Il FTDES collabora anche con Avocats sans Frontières (ASF), che si occupa di fornire assistenza giuridica ai soggetti rimpatriati. La logistica dei rimpatri è un tema interessante: i voli dei rimpatriandi sono separati dai voli civili e sono completamente ignorati dai media. L’aeroporto dove atterrano si trova ai confini con l’Algeria, molto distante dalla capitale e dal flusso dei civili che entrano ed escono dal paese. Non esisterebbero documenti pubblici riguardo il numero di voli effettuati e sulle persone coinvolte nelle operazioni di rimpatrio. ASF, oltre ad assistere legalmente le/i rimpatriate/i, raccoglie le loro testimonianze.
La situazione in Tunisia
Colpito dalla quarta ondata di Covid-19 da metà maggio 2021, il sistema sanitario tunisino è stato completamente messo in ginocchio. La crisi sanitaria si somma a quella economico-sociale già in atto, con un debito pubblico che corrisponde al 100% del PIL. Il 25 luglio 2021 il presidente della Repubblica Kaïs Saïed sospende il parlamento, destituisce il primo ministro e assume i poteri esecutivi. Questo gesto, presentato come una risposta al malcontento popolare derivante dalla crisi socio-economica e sanitaria, è stato sostenuto da molte/i civili e denunciato da altre/i, tra cui il partito Ennahda. A distanza di mesi, i poteri restano concentrati nelle mani del presidente e la situazione generale del Paese appare ancora molto poco chiara.
Da tre anni è sorto il movimento ‘Manish_msab’ (Non siamo una discarica), che si oppone alla riapertura della discarica di Agareb, nella regione di Sfax. La discarica, a meno di due chilometri dalla cittadina, è stata riaperta dopo la chiusura del 2013, ed è attualmente gestita da una società italo-tunisina. Il nuovo governo ha risposto, come quelli che lo hanno preceduto, reprimendo violentemente le proteste e incarcerando le/i manifestanti. Gli scontri hanno già causato vari/e feriti/e e una vittima di 35 anni, Abderrazek Lacheb.
La repressione non impedisce la diffusione di altri movimenti di protesta in tutto il paese. Sempre più spesso accade che le proteste sfocino in episodi violenti. Sembra impossibile prevedere quello che succederà: il futuro della Tunisia è incerto e qualsiasi scenario è aperto.
Migrazioni, andate e ritorni
Ciò che è certo è che il numero di intercettazioni operate da parte della Guardia Costiera Tunisina è il più alto da quando esiste questo tipo di monitoraggio: nell’ultimo anno circa 23.500 persone sono state intercettate (circa il 55% degli intercetti sugli ultimi 10 anni).
La difficoltà delle procedure per il rilascio dei visti per la Francia e per gli altri paesi dell’area Schengen spinge sempre più persone a viaggiare irregolarmente: il sistema visti è sempre più selettivo, ed è comunque accessibile solo a chi è altamente professionalizzata/o (medici, ingegneri, mestieri legati al business internazionale). Ancora oggi, il sistema educativo tunisino è indice dell’ascensore sociale bloccato: la formazione ricevuta determina le opzioni che si avranno a disposizione. Il problema resta di matrice economica. Il profilo-tipo della persona migrante, comunque, è radicalmente cambiato negli scorsi anni: chi parte ha anche intenzione di tornare, di muoversi per poi rientrare nel paese d’origine, dopo aver avuto esperienze lavorative all’estero.
Nel 2019 sembrava essersi aperta una via più accessibile per entrare in Spagna, per questo centinaia di persone volavano a Casablanca e si affidavano ai passeurs per raggiungere le enclave di Ceuta e Melilla.
Chi parte oggi è cosciente del rischio di morte, di naufragio, di essere rinchiuso in un CPR e riportato indietro, del fallimento del viaggio e del fallimento sociale che ne consegue. Tutto questo non scoraggia comunque le partenze: molti/e figlie/i sono spesso incoraggiati dai genitori e dalle famiglie a partire e tentare il successo. Provano a migrare anche molte famiglie con minori con bisogni specifici, perché la Tunisia non offre loro adeguata assistenza e presa in carico.
Persone migranti di origine subsahariana in Tunisia
In Tunisia la violazione dei diritti delle persone migranti, che siano regolari o irregolari, è sistematica. Chi transita è quotidianamente vittima di razzismo, violenze, aggressioni e abusi da parte dei locali e dei trafficanti.
In questo periodo le condizioni meteorologiche sono avverse, e dato che le/i cittadine/i possono permettersi di aspettare un “mare migliore”, i passeurs si rivolgono direttamente alle persone di origine subsahariana, che accettano di partire nonostante i rischi. Nell’ultimo mese sono state intercettate 1600 persone: 1100 di loro provengono da paesi subsahariani. Inoltre, è dal 2012 che non si hanno numeri così alti di morti sulle coste tunisine: l’80 percento delle vittime provenivano dall’Africa subsahariana.