46^ Assemblea battista. Martin Luther King, black power, giustizia, spiritualità

Le voci di Alessandro Portelli, Igiaba Scego, Raffaele Volpe e Silvia Rapisarda. Il video integrale della tavola rotonda su chiese e visioni del mondo e una sintesi degli interventi

Pomezia (NEV), 24 aprile 2022 – Si è tenuta ieri sera la tavola rotonda su “Chiese e visioni del mondo: ‘L’arco dell’universo morale è lungo ma inclina verso la giustizia’ (Martin Luther King)”. Sono intervenuti Alessandro Portelli, Igiaba Scego, Raffaele Volpe, Silvia Rapisarda. Ha moderato l’incontro Alberto Annarilli. L’incontro si è svolto nell’ambito della 46^ Assemblea generale dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (UCEBI), in corso a Pomezia (Roma) fino al 25 aprile.

A fondo pagina, il video integrale dell’incontro, dalla pagina YouTube dell’Unione battista.


Scego. Cercare strade di decolonizzazione

La scrittrice Igiaba Scego ha tracciato una panoramica della situazione dei migranti, che è sempre precaria, nell’impossibilità di mettere radici nel paese che viene scelto. Fra tutte le leggi mancate, quella di cittadinanza. “È faticoso tornare sulle stesse parole d’ordine – ha affermato Scego –, ma la lotta è sempre quella e il muro è sempre quello”. Scego ha delineato il problema della giustizia. Senza giustizia, secondo la scrittrice, non c’è spazio per un paese plurale. “Chiediamo risorse all’Africa, ma non vogliamo gli africani” denuncia ancora Scego, sottolineando le contraddizioni e gli squilibri che ancora impediscono la costruzione culturale di vie “decoloniali”. Serve “costruire un dialogo paritario con l’Africa, non solo come paese di risorse”. Passi avanti, in parte, sono stati fatti nella letteratura, ma “sono ancora sul tavolo questioni che avremmo dovuto risolvere 10/15 anni fa. Così il paese resta immobile”. Parlando dei corridoi umanitari che vedono coinvolte anche le chiese battiste, in particolare attraverso il programma Mediterranean Hope (MH) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) a cui l’UCEBI aderisce, Scego ha detto: “Il tema del viaggio mi tocca, anche in quanto figlia di rifugiati. Negli anni ho visto il viaggio deteriorarsi. Negli anni ’90 si veniva ancora in aereo, poi sono arrivati i trafficanti. I morti restano nascosti, i numeri sono spariti, non si sanno. Per questo servono empatia ed emotività. Creare sinergie fra il passato e la contemporaneità aiuta a capire i meccanismi del viaggio e a far entrare le persone nella storia”.


Portelli. Uscire dal monopolio della violenza

Alessandro Portelli, professore ed esperto di tradizione orale, ha ripercorso alcune vicende che vanno dalle chiese rurali alle scuole di cittadinanza negli Stati Uniti d’America, passando per la Highlander Folk School dove, anni fa, durante una sua visita, ascoltò la frase: “C’è Rosa Parks al telefono”. Di Rosa Parks, ha spiegato Portelli, ci è sempre stata raccontata la storia di una vecchietta debole che aveva male ai piedi e che decise di restare seduta su un autobus, in un posto riservato ai bianchi. “No. Non era una vecchietta debole. Era una quarantenne, segretaria della National Association for the Advancement of Colored People (NAACP). Certe persone sono abituate a pensare che gli oppressi abbiano passioni ed emozioni, ma ciò che raramente attribuiamo loro è l’intelligenza. Invece qui si tratta di un gesto esemplare, denso di tattica e militanza politica. Rosa Parks è scelta per fare questo atto organizzato- E, due giorni dopo, tutta la comunità nera boicotta gli autobus con le conseguenze che conosciamo. È un movimento che sa fare politica a partire dal proprio corpo”. Portelli ha poi tracciato una breve storia dello spiritual “Wes hall overcome”, per poi addentrarsi sui temi del canto religioso, “fatto per essere cantato insieme. Qui riconosci cosa vuol dire ecclesia. Negli Stati Uniti, quando dicono church (chiesa), intendono dire la gente che c’è dentro, non il luogo o l’istituzione. La musica crea collettività e da sempre è strumento di resistenza. Come dice Giovanna Marini,  c’è una inseparabilità fra rito e funzione nella musica popolare”. Questa dimensione, ha detto il professore, oggi c’è quasi esclusivamente negli spazi religiosi. E poi, c’è un intreccio con le questioni di classe: “Nelle grandi lotte sindacali degli anni ’30, con i movimenti di lotta dei minatori, i più militanti erano predicatori. Durante la settimana il pastore era in miniera, la domenica predicava in chiesa. Erano chiese proletarie. E in quelle chiese in legno che si formano Aretha Franklin, Jerry Lee Lewis e lo stesso Elvis Presley. Sono chiese dove il fervore, la devozione e il linguaggio del corpo formatosi in quegli spazi approdano alla musica rock”. Così la storia si intreccia con la musica, e le soggettività con la collettività: “Il movimento per i diritti civili è l’irruzione nella storia di soggetti fino a quel momento negati”. Un monito contro la violenza, il cui monopolio, ha concluso Portelli, “non è solo americano, dove ci sono leggi che vietano di insegnare storia afroamericana per non turbare i bambini bianchi. Sono strade che impediscono la libertà e da cui dobbiamo uscire”.


Rapisarda. Siamo svegli o stiamo dormendo?

La pastora battista Silvia Rapisarda ha parlato di Martin Luther King, della sua storia e di come nell’ambito battista si impari a conoscerlo fin da piccoli. Nella sua formazione, tuttavia, Rapisarda ha anche colto un aspetto più radicale della storia afro-americana, attraverso il testo “Black theology, black power” di James Cone. Il tema della tavola rotonda è ispirato alla frase di King sull’arco lungo dell’universo morale che inclina verso la giustizia. Si tratta di una evocazione che King usa più volte, ha detto la pastora: “Dobbiamo rifarci a un discorso del ’57, che ci spiega meglio il contesto. King parla a Berkeley all’YMCA e spiega la sua scelta non violenta attiva contro il razzismo e i diritti violati. Dice ‘sono molto consapevole che ci sono persone che credono nella nonviolenza e non credono in un Dio personale, ma chiunque creda nella nonviolenza crede che l’universo in qualche forma sia dalla parte della giustizia’. E ancora: ‘a Montgomery sentivamo, mentre lottavamo, una compagnia cosmica’. King e il popolo africano si sentivano, erano, dalla parte giusta della storia e della potenza cosmica”. Il linguaggio di King, secondo Rapisarda, è laico, arriva a tutti, ma la sua convinzione è radicata in una fede escatologica, biblica, che arriva dalla storia del popolo africano-americano e che arriva dalla teologia e dalla resistenza. È, dice la pastora, una dimensione della fede. “Ma da chi dipende? Da noi? Da Dio? Anche oggi nelle nostre chiese abbiamo una fede che si sofferma nella dimensione verticale e nella dimensione orizzontale. Terra e cielo, tempo ed eternità. Dimensioni che integrano, come sostiene King, l’uomo come essere umano e Dio, l’essere umano con l’essere umano. E ogni essere con se stesso”. Rapisarda, riprendendo l’insegnamento di King, riflette inoltre sul fatto che la religione rischia di essere secca come la polvere se guarda alla salvezza della propria anima senza vedere i deboli e gli oppressi.

Martin Luther King, conclude la pastora, “ha saputo dare un forte senso di vocazione, in termini di identità corporativa. King credeva nel ruolo del popolo africano americano, per questo li chiamava children of God, figli di Dio, convinto che Dio avesse dato loro la vocazione di liberare l’America dal peccato del razzismo. E intendeva dimostrare al mondo intero l’efficacia della nonviolenza come manifestazione concreta dell’amore biblico. Noi abbiamo ancora una tale identità corporativa? Forse no, perché siamo post-moderni, post-cristiani, fluidi, ed è impossibile. Eppure il percorso di King e del popolo africano-americano è parte della nostra memoria immaginativa, che nutre speranza. Alla luce di questo, la domanda: siamo svegli o stiamo dormendo?”


Volpe. Speranza, visione, azione

Raffaele Volpe, Segretario del Dipartimento delle chiese internazionali, ha parlato di speranza, visione e azione abbinate alla spiritualità del cambiamento, della sofferenza e della comunità. Il suo lavoro di ricerca su Martin Luther King si è basato su come il pastore battista premio Nobel per la pace parla dei diritti civili. Queste le parole usate da King: “movimento spirituale, esplosione spirituale, movimento spiritualmente radicato, movimento che dipende da forze morali e spirituali, rovente spirito di questa nuova epoca”. Una retorica, secondo Volpe, tutta da studiare. “Un proverbio africano dice: ‘io sono perché noi siamo’. Anche Desmond Tutu diceva ‘io sono come sono, grazie a come noi siamo’. Dobbiamo costruire comunità attraverso singoli che non si immaginano da soli, riscoprendo la questione dell’educazione, con una nuova alfabetizzazione biblica” dice Volpe. L’agire si sposa con la comunità: “Il punto è curare lo sviluppo della nostra persona, delle nostre relazioni con gli altri e il nostro rapporto con Dio. Vediamo i sermoni di King sui sogni infranti: ‘vi è forse uno di noi che non abbia affrontato l’agonia?’”. Si può passare, dice il pastore, da un diffuso cinismo di una speranza perduta, alla riscoperta del nesso stretto fra la speranza e la forza del cambiamento, tra perdita della speranza e fatalismo. “Perdere la responsabilità verso la società – conclude Volpe – svuota il senso della democrazia. Accettiamo i fallimenti, ma ricordiamoci che c’è una speranza infinita, la squillante testimonianza cristiana che Dio è capace, potente. Recuperando una spiritualità del sacrificio. Il potere di Dio per la salvezza sociale e individuale passa anche attraverso la sofferenza (sua e del popolo)”.