Ogni anno un naufragio

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). O dalle volontarie e dai volontari che accompagnano per periodi più o meno lunghi il percorso di MH. Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Lampedusa ed è stato scritto da Barbara Battaglia.

Roma (NEV), 10 ottobre 2022 – Ci vuole tanto tempo per leggere 368 nomi. Ma proprio tanti minuti. Un tempo lungo. Se fai una pausa dopo ogni nome, forse passa un’ora, forse di più. Mi ricordo quando leggono i nomi delle vittime delle stragi di stato, i nomi delle vittime delle mafie.

Ci vuole tanto tempo e dentro al nome c’é pochissimo. Penso se fosse il mio, uno tra i nomi, o quello di mio fratello. Direbbe qualcosa, certo, ma resterebbero fuori tutti i pensieri, le cose fatte e viste, i desideri, tutto quello che una persona é.
Come si raccontano le persone.
Come si raccontano le persone che migrano. Come si raccontano quelle che arrivano morte. E quelle che arrivano vive.
Me lo chiedo ogni giorno, me lo chiedo ogni parola. Non sono l’unica, e mi assolvo pensando che almeno c’ho pensato.
A Lampedusa ogni anno ricordiamo le persone morte in mare il 3 ottobre del 2013. I superstiti, chi li ha salvati.
Ogni volta negli stessi giorni in cui siamo tutti qui in via Roma, in questo struscio serale, ai tavolini dei bar, coi sandali e i vestiti estivi, c’é ancora qualcuno che arriva via mare. Su un barcone, s’intende.

Mediterranean Hope cerca di stare sempre lì, al molo, a far vedere che ci sono anche persone «normali» che li aspettano, dopo le divise e chi li visita e gli «addetti ai lavori». Da vicino nessuno é normale. Ma comunque noi quello facciamo.

Torniamo a raccontare. Le foto, le parole, le interviste, i video, i social. Noi ci pensiamo tanto a cosa diciamo.
L’altra sera Vito Fiorino, uno che ha salvato le persone in mare e trasmette tenerezza e accoglienza a chiunque incontri, ha invitato un ragazzo egiziano a raccontare la sua storia. Si chiama Remon Karam. É stato uno dei racconti più autentici cui abbia mai assistito. Tipo una foto di Letizia Battaglia, per intenderci. «Una forma é buona se é, non é buona se sembra», ha scritto una volta il designer Enzo Mari. Ecco, eccome se «era e non sembrava» il racconto dello studente egiziano che ha lasciato la sua famiglia a 14 anni, che si é imbarcato per venire in Italia e ora é corteggiato dalla politica per quanto é bravo, e sa stare su un palco come pochi.
Forse la sua storia continuerà a raccontarla lui, molto meglio di noi che lo facciamo per lavoro. Per me il 3 ottobre sei stato tu.