La Resistenza trasmessa

A quattro generazioni da quegli anni la necessità di tramandare quei valori, attraverso la Costituzione. Articolo di Bruna Peyrot, presidente della Fondazione Centro culturale valdese, su Riforma

Roma (NEV/Riforma.it), 24 aprile 2023 – Da quell’otto settembre 1943 che segnò il periodo più duro della Resistenza al nazifascismo, in ottant’anni, si sono susseguite almeno quattro generazioni, mentre i testimoni diretti se ne sono andati.

In tutto questo tempo, gli storici hanno lavorato alla ricostruzione di eventi, dinamiche e interpretazioni, con opere controverse come quelle di Renzo De Felice o con letture, come quella di Claudio Pavone che riconobbe, a partire dal titolo stesso del suo libro più famoso, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella resistenza (Torino, 1991), la contemporanea esistenza di tre guerre: una patriottica, una di classe e una civile. Si è molto discusso anche su tematiche come il ruolo del dissenso in era fascista quando, tra il 1926 e il 1943, 15.806 antifascisti (891 donne) furono deferiti al Tribunale speciale per la Difesa dello stato e ben 12.330 (145 donne) mandati al confino e ancora 160.000 sottoposti a “vigilanza speciale”.

Si è analizzato il progetto totalitario attraverso l’educazione giovanile e l’efficacia dei miti dell’Impero, della civiltà italica e cattolica, dell’eredità imperiale ecc. Da un lato, si è sottolineata la scelta motivata dei partigiani, che dopo aver lasciato oscillare nel vuoto le coscienze, avevano recuperato una piena responsabilità individuale nei valori di libertà e giustizia. Dall’altro, l’obbedienza di chi, partecipando alla guerra patriottica, considerava la morte un “martirio felice”, come recitano diversi canti fascisti, necessario ad annientare il nemico, immedesimandosi in un progetto totale di azione violenta. Questa pagina di storia ha diviso la società italiana, anche nella memoria successiva.

Tuttavia, la storia della Resistenza non può essere dimenticata per almeno tre motivi. Il primo è che la sua moralità ha fondato i valori della Costituzione italiana. Perché mettesse radice, avrebbe avuto bisogno di un solido progetto di formazione delle successive generazioni nelle scuole e non solo, anche con l’esempio di una rappresentanza politica coerente. Il secondo motivo è che bisognava ammettere che non tutti avevano scelto, che molti avevano “guardato”, difendendo il proprio particulare. La Resistenza ha inquietato non solo gli alleati – il 7 e il 26 dicembre 1944, nei documenti nati dagli incontri fra Cinai (Comitato liberazione nazionale alta Italia) noti come i Protocolli di Roma, gli inglesi negano a questo ente il riconoscimento della funzione di governo affidandogli un semplice ruolo tecnico – bensì una parte degli apparati istituzionali che, con l’amnistia Togliatti, ripresero nella continuità con il fascismo. La frattura nella società italiana, in altre parole, non fu pressoché mai curata con un salutare atto di giustizia. Il compito immane di rimarginare le ferite della contrapposizione fra italiani non fu assolto nella schiettezza di verità trasparenti, anche scomode, e ne vediamo il trascinamento fino al nostro presente, riverberato nel linguaggio totalitario e discriminante di quelle forze politiche con palesi avi fascisti. Il terzo motivo per cui la storia della Resistenza non può essere dimenticata è che anche se non detta, permane esattamente con le sue divisioni nella società italiana, perché la Resistenza è certo un evento storico, ma anche un sentimento e uno stile di vita che all’epoca fece scoprire il prossimo non come l’urlante sulle piazze gli osanna alla guerra e a Mussolini, ma come colui con il quale condividere una nuova visione di vita comune, rispettosa gli uni degli altri.

La scelta di ieri, dice Pavone, aveva sempre bisogno, ogni giorno, di essere rinnovata. Proprio come per noi oggi, ogni giorno chiederci cosa significano i Principi della Carta Costituzionale.

Foto di Nadia Ginevra Goglio, Monumento in ricordo dei partigiani deceduti per mano dei fascisti, Fondotoce (VB)