Cosa significa essere valdesi, oggi. Risponde Gianluca Fiusco

In occasione degli 850 anni dalla nascita del movimento valdese, abbiamo chiesto a donne e uomini valdesi di spiegarci il senso della loro fede e appartenenza.

John Canada, @unsplash

Roma (NEV), 18 marzo 2024 – Che cosa vuol dire essere valdese, oggi? In occasione degli 850 anni dalla nascita del movimento valdese, abbiamo interrogato diversi esponenti di questa comunità, chiedendo loro di spiegare in modo semplice, sintetico, a parole loro, questa appartenenza. Giovani e meno giovani, provenienti da ogni regione d’Italia, pastore e teologhe, o anche “semplici” cittadini. Ecco le loro risposte.

Protagonista della seconda “puntata” è Gianluca Fiusco.


Per rispondere a questa domanda, devo pensare a cosa ha significato diventare valdese ieri. Infatti non nasco certo in una famiglia valdese. E questo peccato originale talvolta ha pesato. E se non fossi stato convinto della decisione di allora, oggi non sarei valdese.
Perché dirsi cristiani in Italia è relativamente semplice e persino banale. L’Italia, per definizione, è stato il Paese della cristianità perché in Italia si è spesso confuso l’aggettivo cattolico con cristiano. O, meglio, i due aggettivi sono spesso stati letti come sinonimi.
E in realtà non lo sono affatto. Se i milioni di italiani cattolici fossero anche cristiani il nostro Paese sarebbe diverso.
Ed allora essere oggi valdese significa liberarsi innanzitutto dalla necessità di essere valdese. Nel senso che scegliere di dirsi cristiani in Italia, dalla prospettiva di chi è valdese, significa innanzitutto provare, fortissimamente, ad esserlo. Fuori dalle Chiese, quindi nello spazio pubblico, nella società. Ma, devo dire, ultimamente anche nella Chiesa.
Essere protestante significa per me prendere quindi sul serio il cristianesimo. E prenderlo sul serio oggi: nelle scelte quotidiane. Piccole o grandi che siano. Se accettare la corruzione e chiudere gli occhi dinanzi alle ingiustizie del tempo presente. Ovvero testimoniare con la condotta quotidiana, le relazioni con gli altri, le altre, che dirsi cristiani non significa adattarsi al peggio, essere intolleranti, discriminare le persone per i loro amori o per le loro condizioni sociali. Essere pronto a dare una mano, anche a chi la pensa diversamente da me, perché la società più che predicare i valori dei Vangeli li pratichi.


Le altre “puntate” qui:

Paolo Ricca