Il Covid-19 cambia il lavoro dell’ospedale luterano di Gerusalemme est 

Intervista a Sieglinde Weinbrenner, rappresentante della Federazione luterana mondiale a Gerusalemme: “se si verificasse un focolaio più serio, il sistema sanitario palestinese sarebbe rapidamente sopraffatto"

Foto di Nadia Angelucci

Roma (NEV), 3 aprile 2020 – Come gli ospedali di tutto il mondo, l’Augusta Victoria Hospital di Gerusalemme Est della Federazione luterana mondiale (FLM) sta riorganizzando i propri spazi e il proprio lavoro per fronteggiare l’epidemia di coronavirus (COVID-19). “Le nostre principali preoccupazioni sono i nostri pazienti e il nostro personale”, ha detto Sieglinde Weinbrenner, rappresentante della FLM a Gerusalemme all’Agenzia stampa NEV.

L’Augusta Victoria Hospital (AVH) lavora con l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) per l’assistenza ai rifugiati palestinesi dopo la guerra del 1948.

I reparti specializzati, che rappresentano la maggior parte del lavoro dell’ospedale, sono il Centro per la cura del cancro, il Centro di ematologia e di trapianto di midollo osseo, l’Unità di dialisi, il Centro per la cura chirurgica dell’orecchio, del naso, della gola, il Centro per la cura del diabete, il Centro specializzato per la cura dei bambini e il Centro per l’assistenza infermieristica qualificata e la cura a lungo termine (Sub-Acute), che forniscono trattamenti specializzati che non sono disponibili nella maggior parte degli ospedali in Palestina.

Abbiamo chiesto a Sieglinde Weinbrenner cosa sta accadendo a Gerusalemme e come il lavoro dell’Ospedale si è riorganizzato a causa dell’epidemia in corso.

L’Augusta Victoria Hospital si trova a Gerusalemme Est occupata ed è specializzato nella cura del cancro e nella dialisi, oltre ad essere un ospedale di riferimento per il Ministero della Salute palestinese. Siamo l’unico ospedale che fornisce radioterapia in Palestina e anche l’unico ospedale che fornisce cure di dialisi pediatrica per i bambini. Questo significa che i pazienti sono obbligati a venire in ospedale per le cure perché non possono riceverle in Cisgiordania o a Gaza. I pazienti cronici che ricevono la dialisi un paio di volte alla settimana sono quindi costretti in questo momento, a causa delle note difficoltà di movimento, a rimanere a Gerusalemme con i loro accompagnatori. Li stiamo quindi ospitando in albergo e da lì, ogni giorno, li trasferiamo in ospedale per i trattamenti e li riportiamo indietro.  Abbiamo tra i 200 e i 300 pazienti con i loro accompagnatori ogni notte in hotel, il che ci costa circa 100.000 euro al mese in più rispetto alla nostra attività precedente. I pazienti di Gaza usufruivano della permanenza in albergo anche prima di questa emergenza ma ora il numero è in aumento. Stiamo cercando una soluzione per far sì che a Gaza vengano fornite cure oncologiche meno complesse, ma mancano anche le attrezzature di base. 

Come si è riorganizzato l’ospedale?

Abbiamo protocolli e triage molto severi per accedere alle nostre strutture. Abbiamo avuto casi sospetti che sono stati testati prima di venire per il trattamento e si sono rivelati per fortuna tutti negativi.

Avete notizie sulla situazione medica nei territori e a Gaza? Ci sono sufficienti dispositivi medici per affrontare un’emergenza?

Già in circostanze normali le istituzioni mediche di Gaza non sono dotate dei farmaci e delle attrezzature tecniche necessarie per i laboratori, per non parlare dei dispositivi di protezione del personale, che scarseggiano in tutto il mondo. Ci sono state spedizioni di forniture mediche, ma non sono in grado di valutare l’impatto e se questo sia sufficiente.

Le notizie in nostro possesso ci dicono che mentre ci sono molti positivi al coronavirus in Israele (5591), ci sono pochi casi in Palestina (155). Potrebbe essere dovuto alla disparità dei tamponi che sono stati effettuati?

Non sono in grado di dare una risposta chiara. Ne abbiamo discusso a lungo con la nostra equipe. E’ vero che non sono stati fatti molti tamponi ma anche che non ci sono molti accessi negli ospedali dei Territori di pazienti con sintomi o che si trovino in condizioni critiche. Se questo si verificasse lo sapremmo. Finora, questa è la mia umile impressione personale, le cose in Westbank sono sotto controllo. L’Autorità nazionale palestinese ha preso misure di contenimento, di quarantena, coprifuoco e chiusura di chiese, moschee, scuole, ecc. dal 5 marzo almeno nella zona di Betlemme; ora le restrizioni di movimento all’interno della Westbank sono severe, ogni epidemia in un villaggio viene seguita e la gente viene messa in quarantena. Naturalmente è difficile dire come si svilupperanno le cose, e se si verificasse un focolaio più serio, il sistema sanitario palestinese sarebbe rapidamente sopraffatto.