Lampedusa tra Scirocco e Maestrale

di Marta Bernardini e Francesco Piobbichi operatori di “Mediterranean Hope” a Lampedusa

Lampedusa, Agrigento, 22 giugno 2016 (NEV) – Escono. Dal buco, ma escono. Certo, un giorno occorrerebbe interrogarsi sul significato profondo del buco nella rete dell’hotspot di Lampedusa, quale sia la dinamica che rende possibile la contraddizione di queste “fughe” tollerate in una delle isole più militarizzate del Mediterraneo. I migranti non escono quasi mai dal cancello principale dell’hotspot, né vi rientrano. Passano da quel buco come fossero criminali a cui viene negata la dignità di usare la porta principale. Attraversano, di giorno e di notte, sentieri pieni di pietre con le loro ciabatte. “Liberi” in qualche modo, ma isolati dal mare e costretti ad attendere in questa piccola isola. Liberi, ma già schedati e categorizzati, resi “altri” da “noi”, in attesa di proseguire il loro progetto migratorio, forse in un’altra nazione, in un centro Sprar, a lavorare da schiavi in un campo alla mercé dei caporali. Lampedusa va avanti tra visite e palcoscenici, tra scrittori e militari, tra turisti e migranti. Lampedusa va avanti, nonostante tutto. Tensione e momenti di calma si alternano, come i venti che sconvolgono le nubi all’orizzonte.

Qui Maestrale e Scirocco si guardano negli occhi, il primo porta la sabbia ed il calore della sponda del Sud, il secondo il freddo del nord. Queste due forze sono la metafora del presente che su questo scoglio configgono e si rincorrono. A volte nel giro di pochi minuti cambiano il verso delle bandiere così come cambia velocemente il clima dell’isola.

Ormai noi lo capiamo subito, dagli sguardi e da come avvengono i saluti, dai silenzi e dalle mezze frasi. Comprendere la tensione, gestirla, mediarla fa parte del nostro lavoro sulla frontiera.

Negli scorsi mesi ci sono state le proteste dei migranti in piazza, poi un padiglione dell’hotspot è stato incendiato, così come alcune vetture e cassonetti della spazzatura hanno preso fuoco. Non sono state le stesse mani ad “appicciare” gli incendi, eppure tutto sembrava muoversi con coerenza, come se l’isola avesse deciso di cambiare forma, di far sentire il calore di una rabbia covata contro un destino che la costringe a essere frontiera.

Sembra quasi di trovarsi in una giostra, dove le fasi della storia ripropongono con costanza gli stessi eventi cambiando però personaggi e colori, retoriche e rumori di fondo. Lampedusa la ami anche per questo, per questo incredibile vortice di emozioni e storie che ti girano intorno, sbarchi che ti lasciano la notte insonne e tramonti che ti riappacificano con la vita. Lampedusa non è semplicemente l’isola turistica tra le più belle del Mar Mediterraneo, è la seconda parte di un film di Fellini dove passa la vita. Tutto questo non è prodotto solo dall’umanità, ma anche dalla natura che combatte la sua lotta quotidiana. Qui qualche giorno fa le tartarughe sono arrivate a depositare le uova nella spiaggia dell’Isola dei Conigli, e anche i delfini e i gabbiani, come i cani che sono liberi e senza padroni, recitano la loro parte nella costruzione dello scenario complessivo. Via Roma, la via principale di Lampedusa, la sera è piena di persone, e qui l’isola vende i suoi colori, i ragazzini venuti dal mare guardano al bar le partite degli europei, molti di loro non sanno ancora cosa li aspetta, ma incominciano a capire che la loro libertà passa per un buco nella rete.