“Un errore da papà”, o dell’uso improprio dei figli in politica

Roma (NEV), 31 luglio 2019 – “E’ stato un errore da papà”, si è giustificato il ministro dell’interno, Matteo Salvini, per il giro del figlio sulla moto d’acqua della Polizia.

Quanti errori fanno i padri! Se ne potrebbe fare una lista lunga pagine e pagine. Lo dico per esperienza personale, perché sono padre anch’io e vivo una inadeguatezza quotidiana, fortunatamente pari soltanto alla gioia di essere genitore e di poter provare una relazione che è unica.

Sono quindi nella posizione, non di giustificare, ma di capire la frase di papà Salvini – anche se il figlio, leggo, ha sedici anni e quindi non è proprio un bambino. E tuttavia c’è qualcosa che suona sbagliato. Non tanto in quest’affermazione estiva, ma in altre pronunciate in contesti differenti dal ministro degli interni.

E’ impressionante il numero di volte in cui Salvini ha rivendicato le sue scelte politiche di governo come dettate dall’essere un “padre di famiglia”. E’ come ministro e padre di famiglia che impedisce lo sbarco nei porti italiani alle imbarcazioni delle ONG che riportano sulla terraferma migranti raccolti nel Mediterraneo; è come padre di famiglia che si oppone all’Europa per sfamare gli italiani, i suoi 60 milioni di figli (!); e, probabilmente, è come padre di famiglia che propone e ottiene una nuova legge sulla legittima difesa.

Questi – e non la gita in acqua scooter -, mi sembrano gli “errori da papà” del ministro che appunto si descrive come “padre di famiglia” per accreditare se stesso e la sua politica nell’ambito del “buon senso comune” – quello che appunto avrebbe un genitore nell’occuparsi della sua famiglia. E tuttavia, è un genitore che marca il territorio, pronto a difenderlo contro gli altri; che insegna a vivere sulla difensiva e a vedere chi non fa parte del nostro gruppo, della nostra famiglia, o non appartiene alla nostra terra, come un pericolo. E’ un politico che innesta l’ideologia sovranista – prima gli italiani – sull’endemico “familismo” italico – prima i miei.

Mi ricordo che l’esperienza di essere diventato papà mi ha spinto a voler conoscere di più e meglio il mondo dell’infanzia, a partire dall’ambito che mi è professionalmente più congeniale. Essendo un pastore ho cercato nella Bibbia le pagine e le parole dedicate ai bambini. Ho scoperto che le Scritture conoscono i bambini per quello che sono: gli esseri umani più fragili, quelli che risentono in modo più drammatico e amplificato della guerra, dell’ingiustizia, della violenza, della fame. I racconti della Bibbia restituiscono l’immagine di un’infanzia che è più simile a quella dei bambini che attraversano il Mediterraneo sui barconi che non ai bambini delle nostre famiglie.

Un papà che voglia essere un genitore deve poter guardare un po’ più in là di se stesso e curarsi anche dei figli degli altri; un papà che poi voglia anche essere un cristiano non può non dimenticare le parole di Gesù che, reclamato dalla sua famiglia naturale, indicando chi gli stava attorno – e attorno a Gesù ci sono sempre stati poveri, malati, storpi, peccatori, stranieri –  dice a sua madre e ai suoi familiari: “Ecco mia madre e i miei fratelli!”, ecco la mia famiglia!, (Marco 3).

Ci sono poi altre domande, che lascio come tali – chissà come vedono il mondo i figli dei potenti; chissà perché così tanti “padri di famiglia” criticano le immagini che mostrano il dolore e la miseria dei figli degli altri. Mi limito a concludere dicendo che in Italia, dal Berlusconi che giurava sui suoi figli fino al Salvini papà degli italiani, continua in politica l’uso improprio dei figli.