Diritto alla vita o autodeterminazione al suicidio assistito?

Il Comitato nazionale di Bioetica ha redatto le “Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito” per aiutare il legislatore, i giudici della Corte costituzionale e il cittadino comune a far chiarezza sui termini del problema. Entro il 24 settembre, il Parlamento italiano è chiamato ad avviare l’iter legislativo in materia

Luca Savarino. Foto di Pietro Romeo

Roma (NEV/Riforma.it), 1 agosto 2019 – In vista dell’iter legislativo che, secondo un’ordinanza della Corte costituzionale, dovrà essere avviato entro il 24 settembre prossimo dal Parlamento italiano in materia di suicidio medicalmente assistito, il Comitato nazionale per la bioetica (CNB) ha reso noto il suo parere in materia attraverso delle “Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito”.

Luca Savarino, componente del CNB nominato dal governo, è stato intervistato dal direttore di Riforma, Alberto Corsani. Savarino è anche Coordinatore della Commissione bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi in Italia e professore di bioetica all’Università del Piemonte Orientale.

“Nel 2018 la Corte costituzionale è stata chiamata in causa dai giudici di Milano che hanno dovuto giudicare Marco Cappato, autodenunciatosi per aver ‘aiutato’ Fabiano Antoniani a mettere in pratica il proprio suicidio in una clinica svizzera – spiega Savarino nell’intervista –. La Corte ha recepito il quesito del Tribunale di Milano e ha ritenuto che fosse necessario precisare il contenuto dell’art. 580, che disciplina e vieta qualsiasi forma di aiuto o istigazione al suicidio, sostenendo che oggi quel contenuto risulta insufficiente e non sufficientemente chiarito: in primo luogo perché non si distingue tra istigazione e aiuto al suicidio propriamente detto; e in secondo luogo perché non si precisa in che cosa consista esattamente l’aiuto al suicidio. È infatti evidente che negli anni trenta, quando è stato scritto il Codice penale italiano aiutare qualcuno a suicidarsi poteva indicare una serie di azioni molto differenti da quelle rese possibili dal successivo imponente sviluppo delle tecnologie mediche. Il suicidio non era e non poteva essere, a quell’epoca, suicidio medicalmente assistito”. Se il Parlamento non dovesse iniziare l’iter nei termini richiesti, illustra Savarino, “l’ultima parola spetterà alla Corte”, motivo per cui il Comitato nazionale di Bioetica “si è trovato nella condizione di emettere un parere che aiuti il legislatore, ma anche i giudici della Corte costituzionale e il cittadino comune, a far chiarezza sui termini del problema”.

L’intervista prosegue sul terreno scivoloso dell’analisi dei singoli casi e delle eccezioni, della dignità del morire, dello sviluppo della tecnica medica e della normativa vigente, per la quale “il paziente può decidere di non iniziare o di interrompere qualsiasi trattamento, anche se da ciò derivasse la sua morte, ma non può chiedere di essere aiutato ‘attivamente’ a morire”. La legge distingue tra uccidere e lasciar morire: “da un lato autorizza la sospensione dei trattamenti su richiesta del paziente, dall’altro vieta sia il suicidio medicalmente assistito sia l’eutanasia. Ricordo che per eutanasia si intende l’atto con cui un medico, su richiesta del paziente, pone fine intenzionalmente alla vita di quest’ultimo attraverso un’iniezione letale (parliamo di pazienti terminali o in gravissime condizioni con prognosi infausta); il suicidio medicalmente assistito se ne distingue perché chi mette fine alla propria vita è il paziente stesso: ciò naturalmente può verificarsi solo a patto che qualcuno prescriva il farmaco e metta il paziente nelle condizioni di eseguire il suo proposito”.

Il documento del CNB, continua Savarino, “definisce lo status quaestionis passando in rassegna le differenti fattispecie etiche e giuridiche e le differenti posizioni che dividono il Comitato stesso (e che, io aggiungerei, dividono anche i cittadini italiani così come avevano diviso i membri della Commissione delle chiese battiste, metodiste e valdesi). Le questioni in gioco sono vaste e complicate, io qui ne citerei soltanto due: in primo luogo il bilanciamento tra due diritti costituzionalmente garantiti, il valore della vita e l’autodeterminazione individuale; in secondo luogo il ruolo e il senso della professione medica, e a ciò connesso il problema se il senso della cura possa estendersi sino a includere al suo interno l’aiuto al morire”.

Il 25 agosto aprirà il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, che l’anno scorso ha recepito il documento della Commissione bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi. “Il Sinodo non ha affermato che le chiese siano favorevoli al suicidio medicalmente assistito e/o all’eutanasia, ma ha riconosciuto che quel testo era un autorevole strumento di discussione all’interno delle nostre chiese e della società italiana” ha concluso Savarino.

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