COP25. Promuovere le conoscenze tradizionali e indigene sul clima

Sul sito dell’Associazione mondiale per la comunicazione cristiana Lorenzo Vargas e Amanda Soares scrivono: “Dovremmo tutti prestare maggiore attenzione alle conoscenze ecologiche tradizionali e indigene”. L'esempio degli incendi boschivi controllati per la tutela dell'ecosistema e la fertilità della terra

Una fase del rimboschimento nel Minwoho Lekie, in Camerun. Gli abitanti del villaggio predispongono il vivaio per la coltivazione sostenibile della pianta originaria dell'Africa tropicale, per fornire cibo e reddito alle comunità agricole. Foto Olivier Girard / CIFOR / Climate Visuals tratta dal sito WACC

Roma (NEV), 9 dicembre 2019 – Circa 25.000 rappresentanti governativi, del settore privato, della comunità scientifica e della società civile di oltre 200 paesi stanno attualmente partecipando alla 25^ sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP25) in corso a Madrid, in Spagna, fino al 13 dicembre.

In un articolo sul sito dell’Associazione mondiale per la comunicazione cristiana (World Association for Christian Communication-WACC), Lorenzo Vargas e Amanda Soares scrivono: “Dovremmo tutti prestare maggiore attenzione alle conoscenze ecologiche tradizionali e indigene”, sia come forma di riconoscimento delle loro competenze per la resilienza climatica, sia come rettifica della violenza ecologica e coloniale a cui gli indigeni sono stati sottoposti per secoli.

Riguardo agli incendi boschivi ad esempio, riferiscono gli autori WACC, una recente ricerca pubblicata dal Global Center for Adaptation, ha sottolineato che: “I popoli indigeni hanno a lungo utilizzato incendi controllati a bassa intensità per gestire le colture e ridurre l’accumulo di combustibili – alberi infiammabili, erbe e cespugli – che causano incendi più grandi, più intensi e più pericolosi, come quelli che sono scoppiati negli Stati Uniti occidentali negli ultimi anni … L’uso del fuoco da parte del popolo Karuk è stato fondamentale per l’evoluzione della flora e della fauna della regione di Klamath, nel nord della California. Le sofisticate pratiche antincendio Karuk includono l’uso di fuochi frequenti a bassa intensità per ripristinare le praterie delle alci e conservare ghiande di tanoak e quercia nera. Gli incendi di questo tipo mantengono anche le praterie che forniscono materiali preziosi, quali vimini di qualità e il fumo che oscura il fiume Klamath, fa sì che le temperature dell’acqua si abbassino, avvantaggiando i pesci durante i caldi mesi di fine estate”.

Questo approccio, sostengono Vargas e Soares, è opposto a quello avuto dai coloni europei in Nord America, che consisteva principalmente nel reprimere il più possibile gli incendi. Nel tempo, questo ha trasformato diversi ecosistemi limitando la fertilità e rendendo le foreste più vulnerabili a incendi ad alta intensità difficili da controllare.

“La conoscenza ecologica tradizionale e indigena può dare un contributo significativo per affrontare i cambiamenti climatici” scrivono gli autori, che segnalano anche come il quinto rapporto di valutazione del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) e l’accordo di Parigi abbiano riconosciuto l’importanza di queste conoscenze.

È sempre più chiaro che il cambiamento climatico non è più un problema futuro: gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi mai registrati e le catastrofi naturali legate al clima, come gli incendi boschivi fuori controllo, sono sempre più frequenti. Secondo il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, “Il punto di non ritorno non è più all’orizzonte. È in vista e corre verso di noi”. La COP 25, a quasi quattro anni dalla firma dell’accordo di Parigi, deve fare i conti con gli impegni presi e con gli inadempimenti. I dati parlano di danni irreversibili e un aumento delle temperature di 3,2 gradi Celsius entro la fine del secolo, secondo il Programma ambientale delle Nazioni Unite.