Bloody Sunday, il giorno dopo il 50^ anniversario

Ieri migliaia di persone hanno partecipato alla manifestazione per ricordare la strage che segnò l'inizio del periodo più sanguinoso dei Troubles.

Roma (NEV), 31 gennaio 2022 – Il 30 gennaio di cinquant’anni fa, nel 1972, a Derry, tredici persone furono uccise da colpi di arma da fuoco quando i soldati aprirono il fuoco sui manifestanti per i diritti civili.

Ieri migliaia di persone hanno partecipato alla manifestazione per ricordare quella che è conosciuta come la “Bloody Sunday”, che segnò l’inizio del periodo più sanguinoso dei Troubles (letteralmente “disordini”, termine che indica il conflitto nordirlandese, ndr). A capo del corteo i parenti delle vittime con grandi fotografie appese al collo per ricordare i morti. Il premier irlandese Micheal Martin ha preso parte alla commemorazione con altri rappresentanti politici e religiosi e deposto una corona al Bloody Sunday Memorial, dichiarando che “tutte le parti in Irlanda del Nord sono state molto chiare sul fatto che non vogliono amnistie”. Alla commemorazione erano presenti, fra gli altri, anche il ministro degli Affari esteri irlandese Simon Coveney e la presidente dello Sinn Fein, partito indipendentista irlandese, Mary Lou McDonald.

Mercoledì scorso il primo ministro Boris Johnson aveva definito il 30 gennaio 1972 come  “uno dei giorni più bui della nostra storia” e auspicato una riconciliazione: “Dobbiamo imparare dal passato, riconciliarci e costruire un futuro prospero e condiviso”, segnando di fatto una differenza rispetto a quanto dichiarato dall’omologo irlandese. Nonostante il percorso fatto dal Good Friday Agreement, l’Accordo del Venerdì Santo siglato nel 1998, e con la Brexit che complica ulteriormente la situazione, sembra che, come ha scritto ieri il corrispondente dell’Ansa Alessandro Carlini, una delle ferite più profonde nella memoria storica di cattolici e protestanti non sia ancora rimarginata.


Per approfondire:

  • Qui il trailer del nuovo film film del nordirlandese Kenneth Branagh, “Belfast”, in uscita il 3 marzo in Italia, per il quale ha vinto il Golden Globe per la migliore sceneggiatura.

“La domenica di 50 anni fa, passata alla storia come “Bloody Sunday” (la “domenica insanguinata”, ndr.), il conflitto dell’Irlanda del Nord balzò all’attenzione del mondo. Quattordici partecipanti cattolici a una marcia per i diritti civili furono uccisi dai colpi sparati dall’esercito britannico. Accadde a Derry, città che i protestanti chiamavano Londonderry. Nessuna delle vittime era armata.
In seguito a quell’episodio, centinaia di volontari si unirono all’Irish Republican Army, la famigerata organizzazione terroristica conosciuta con l’acronimo IRA.
Il conflitto tra i sostenitori prevalentemente cattolici della riunificazione dell’Irlanda e i sostenitori prevalentemente protestanti dell’unione dell’Irlanda del Nord con la Gran Bretagna è costato la vita, tra il 1968 e il 1998, a più di 3.600 persone, la maggior parte delle quali cadute per mano di organizzazioni paramilitari come l’IRA.

Il 1972 divenne l’anno più sanguinoso nella storia dei “troubles“, il conflitto nordirlandese. “Bloody Sunday ha tolto alla gente il senso di vivere in una società democratica dove il cambiamento è possibile e dove lo stato di diritto è un concetto importante”, dice oggi Paul O’Connor, del Pat Finucane Centre di Derry, un gruppo di sostegno per i sopravvissuti delle vittime di violenza. A quel tempo, l’unica via d’uscita per i cattolici, che erano svantaggiati nella società nordirlandese, sembrava essere la riunificazione con il Sud – con la forza delle armi se necessario.

Cinque decenni dopo, le ferite non sono ancora chiuse. Sebbene nel 2010 l’allora primo ministro britannico David Cameron avesse ammesso, al termine di un’ampia indagine, l’innocenza dei manifestanti e la cattiva condotta dell’esercito, nessuno dei soldati coinvolti è stato portato in giudizio. E ora il governo di Londra sta progettando una legge per rendere impossibile qualsiasi processo civile o anche indagini pubbliche sui “troubles” in Irlanda del Nord.

La legislazione proposta ha lo scopo di proteggere i veterani da «procedimenti legali abusivi», ha detto il primo ministro Boris Johnson in Parlamento a Londra la scorsa estate. E permetterebbe di chiudere finalmente l’era dei “troubles“, ha aggiunto. Ma nessuno, a parte il partito Tory del premier Johnson, sostiene questi piani. Né i partiti dell’Irlanda del Nord, né il governo irlandese, né i sopravvissuti e le persone in lutto. Il capo del governo irlandese, Micheàl Martin, poche settimane fa, ha definito il piano un “tradimento delle vittime di tutte le violenze”.

Durante i “troubles“, lungo il confine tra la parte settentrionale e quella meridionale dell’isola c’erano torri di guardia e filo spinato. Tutto è cambiato con il Good Friday Agreement, l’accordo di pace firmato il Venerdì Santo del 1998: la linea di divisione è diventata quasi invisibile, la disparità di trattamento tra protestanti e cattolici è diminuita, la vita sotto il dominio britannico sembrava di nuovo possibile. Ma l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ha minacciato di distruggere tutto questo: i controlli sono diventati improvvisamente di nuovo necessari perché il confine irlandese è diventato il confine esterno dell’UE. L’ex primo ministro Theresa May ha cercato di mediare tra le richieste dei sostenitori della Brexit a Londra e le due confessioni in Irlanda del Nord e nell’UE – ma ha fallito.

Contro l’opposizione dei partiti protestanti, il successore di Theresa May, Boris Johnson, ha concluso un accordo con Bruxelles – il cosiddetto protocollo dell’Irlanda del Nord -, che ha di fatto ristabilito un confine commerciale tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito. Il risultato è che, secondo i sondaggi, solo il quattro per cento della gente in Irlanda del Nord – di qualsiasi denominazione – ha ancora fiducia nel governo nazionale di Londra.
Cosa significa tutto questo per il processo di pace? “Cinquant’anni dopo il Bloody Sunday, la questione della riunificazione irlandese è più all’ordine del giorno che mai”, afferma Paul O’Connor”.