Roma (NEV), 5 maggio 2022 – “La guerra investe, deforma e uccide la vita”. Si intitola così l’intervento di Maria Elena Lacquaniti alla scorsa conferenza organizzata dal Centro interconfessionale per la pace (CIPAX). Lacquaniti, predicatrice locale della chiesa battista di Civitavecchia, fa anche parte della Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
Animali nella Prima guerra mondiale
Le guerre portano danni anche irreversibili alla fauna maggiore e minore e, conseguentemente, alla biodiversità. Lacquaniti fa una panoramica sugli ultimi cento anni di storia dei conflitti, dal punto di vista degli animali. “Iniziava così il volumetto di propaganda «Gli animali alla guerra», scritto nel 1916 da Giulio Caprin, giornalista, interventista e sottotenente dell’esercito italiano: «Se ci sono soldati alla guerra? Gli animali, cavalli delle armi a cavallo, i muli delle batterie da montagna e someggiate. Ce ne sono anche tanti altri, grossi e piccini, che ci si trovano senza volerlo, povere bestie. E ci rimangono». Il Primo conflitto mondiale fu una guerra estremamente sanguinosa e vide per la prima volta impegnate tecnologia emergente e mondo rurale. Mauro Neri e Arianna Tamburini, nel libro «Guerra degli animali» (2018), illustrano l’impiego degli animali nei conflitti. Gli animali, infatti, ebbero un ruolo sempre più fondamentale”.
Gli animali, spiega Lacquaniti, vengono incorporati nel cosiddetto “treno”, ovvero “l’apparato militare che muoveva tutte le operazioni logistiche degli eserciti: cucine da campo, trasporto di viveri, feriti, munizioni, armamenti. Il solo esercito italiano, che alla sua entrata in guerra nel 1915 aveva arruolato circa 800 quadrupedi per il traino di 400 carri, già l’anno successivo disponeva di oltre 9.000 animali che tiravano circa 2600 carri e nell’ultimo anno di guerra gli animali da tiro impiegati furono circa 18.000 per quasi 6000 carri”.
La guerra portò alla requisizione di quadrupedi alla popolazione “condannando alla povertà estrema ed alla fame. Veniva meno sia l’animale produttore di cibo, sia di collaboratore nella quotidianità rurale”. Il bisonte europeo si estingue nella prima guerra mondiale, con un danno a tutto l’ambiente: “L’estinzione di una specie incide fortemente sull’ecosistema in cui è inserita. La presenza di questi animali di enorme mole, al pascolo, permette la cosiddetta ingegneria dell’habitat, cioè consente di ripristinare tutta una serie di processi naturali tipici di una determinata zona. Ad esempio le zone di terra nuda che si verranno a formare grazie ai bisonti diventeranno il posto ideale per vespe scavatrici, lucertole ed erbe rare; inoltre il legno e la corteccia degli alberi contro cui i bisonti sfregano la loro folta pelliccia invernale diventerà terreno propizio per insetti, uccelli e funghi. Proprio ai fini della salvaguardia della biodiversità ricordiamo che è la presenza di insetti che fa da attrattore di specie diverse e che la loro presenza intensifica lo sviluppo della flora circostante. Il 90% della flora spontanea ed il 70 % di quella utilizzata nell’industria agricola dipende proprio da questa azione”.
Vietnam e diossina
Maria Elena Lacquaniti propone anche la ricca bibliografia dedicata agli effetti devastanti della guerra in Vietnam per uso di diossina da parte delle forze armate statunitensi, per defogliare e radere al suolo la foresta che poneva una resistenza naturale all’attacco. “Dal 1961 al 1972 sono stati impiegati 19 milioni di galloni di erbicidi su oltre 4,5 milioni di acri di terra nel Vietnam del sud. Il conflitto si è concluso con la scomparsa del 70% degli uccelli e del 90% dei mammiferi della regione”. Un vero e proprio “Ecocidio”, denuncia Lacquaniti, che ha portato a modificazioni genetiche su persone e animali, alla contaminazione di terreno, acqua, aria e della catena alimentare. “La diossina sepolta o lisciviata sotto la superficie o profonda nel sedimento dei fiumi e di altri corpi idrici può avere un’emivita di oltre 100 anni”, per fare un altro esempio.
Grandi mammiferi e ruolo ecologico
Le guerre distruggono la vita in tutte le sue forme. È accaduto e accade in Ucraina, in Afghanistan, in Siria, in Iraq, in Kuwait, nel Laos, in Congo, in Sudan. “L’Africa centrale – aggiunge ancora Lacquaniti – è comunque luogo continuo di morte per consumo in guerra di carne di grandi scimmie, come il gorilla di montagna o lo scimpanzé. La mancanza di grandi mammiferi, per il loro ruolo ecologico, implica un danno alla savana. Si pensi che solo l’elefante dedica circa 16 ore al giorno ad alimentarsi, strappando rami, arbusti, abbattendo alberi. Questo comporta un’areazione della savana, contribuendo a mantenerla aperta e contrastando la ricrescita selvaggia”.
Il diritto internazionale e le convenzioni
Lacquaniti condivide inoltre un’analisi del concetto di protezione dell’ambiente in un contesto bellico nel diritto internazionale. “Nonostante il riconoscimento dei potenziali impatti negativi dei conflitti armati sullo stato di salute degli ecosistemi naturali risalga al XVII secolo, la questione della protezione ambientale in un contesto di guerra ha assunto rilevanza nel dibattito internazionale solo a partire dalla fine della Seconda Guerra mondiale”. Dal Protocollo di Ginevra per la proibizione dell’uso in guerra di gas asfissianti, velenosi o di altro tipo, e di metodi di guerra batteriologici, del 1925. Fino alle convenzioni, come quella per la protezione dell’ambiente durante i conflitti armati, disciplinata dagli articoli 53 e 147 della Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra. Oppure, la Convenzione che proibisce ogni tecnica di modificazione ambientale (Convention on the proihbition of military or any other hostile use of environmental modification techniques – ENMOD) del 1976.
La Giornata internazionale delle Nazioni Unite per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato
Infine, ricorda Maria Elena Lacquaniti, “bisognerebbe dare maggiore visibilità alla giornata del 6 novembre. Data in cui si celebra, dal 2001, la Giornata internazionale delle Nazioni Unite per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato. La protezione dell’ambiente dovrebbe rientrare nelle strategie per la prevenzione dei conflitti e il mantenimento della pace. <<Non può esistere una pace duratura – si legge sul sito di Onuitalia.it – se vengono distrutte le risorse naturali e gli ecosistemi sui quali si basano i mezzi di sussistenza della popolazione>>. Non solo, il controllo delle risorse naturali è tra i fattori che scatenano i conflitti. Studi del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), hanno dimostrato che negli ultimi 60 anni almeno il 40% di tutti i conflitti interni erano connessi allo sfruttamento delle risorse naturali”.
Per vedere la registrazione integrale dell’incontro clicca qui. La conferenza si è svolta nell’ambito del Cantiere di pace CIPAX 2021-22 “Curare la terra per curare noi. Ambiente, pace, spiritualità”. Titolo della giornata: “Noi e la natura: l’agricoltura contadina, gli animali”. Ospiti, oltre a Lacquaniti, Emanuele De Gasperis, veterinario, chiesa battista di Trastevere, Roma. Fulvio Bucci, Rurali Reggiani/Associazione rurale italiana (ARI). Adnane Mokrani, Presidente onorario CIPAX, teologo musulmano. Ha moderato l’incontro la Presidente del CIPAX Cristina Mattiello. Il cantiere CIPAX è realizzato grazie al contributo dell’Otto per mille della chiesa valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi.