Un grande futuro dietro le spalle. Intervista a Gianluca Fiusco

L’importanza di mettere insieme esperienze diverse: sociologia, architettura, ricerca sul territorio, riscoperta degli spazi. Fiusco: “perché andare avanti non significa rinnegare le tradizioni o rinnegare l'identità dei luoghi. Significa dare a questi luoghi, a questi territori dove noi siamo, una prospettiva, un fiato, una voce nuova e rinnovata”

Gianluca Fiusco. Foto Daniele Vola

Torre Pellice (Torino), 25 agosto 2022 – Nella cornice del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi in corso a Torre Pellice abbiamo intervistato Gianluca Fiusco.

Giornalista, già direttore del Servizio Cristiano di Riesi, in Sicilia, Fiusco inizierà a settembre la sua collaborazione come responsabile della comunicazione per la Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI).

Gianluca Fiusco, lei ha alle spalle 14 anni di direzione del Servizio Cristiano, il mandato più lungo dopo quello del fondatore e ideatore, Tullio Vinay. Come ha vissuto questo ruolo e cosa porta nel cuore da questa esperienza?

Sono grato di questo periodo in cui potuto servire nella direzione del Servizio Cristiano. In questo momento i sentimenti che albergano nel mio cuore sono estremamente contrastanti. Da un lato c’è certamente il dolore del distacco da quella che era diventata non soltanto l’opera diaconale dove ho provato a servire la chiesa, ma anche in parte un pezzo della mia famiglia, dei miei amici, dei collaboratori amici con cui ho avuto la gioia e il piacere di servire. Tutto ciò che è stato fatto, non sarebbe stato possibile senza la collaborazione delle splendide persone che ho incontrato al Servizio Cristiano e di quelle che nel frattempo si sono aggiunte in questi anni.

Dall’altro lato, ci sono il conforto di poter prendere fiato e la speranza di consegnare nelle mani di chi arriverà un’opera che in questi anni si è impegnata per riaffermare la sua autonomia. Speranza di cui è portatrice l’agape del mondo nuovo di Cristo. Avrei voluto, forse, una conclusione diversa, ma le vie del Signore sono infinite.

Quali sono i suoi progetti futuri?

Confesso che ho un grande futuro dietro le spalle. Come ha detto in questi giorni il moderador della Mesa valdense Marcelo Nicolau. Alle spalle abbiamo il futuro, perché non lo possiamo ancora vedere. È ciò che dobbiamo ancora vivere e ci attende, che ci condurrà per mano. Certamente ho tante idee in testa. Questo prossimo impegno con la Chiesa luterana mi entusiasma e spero di poter servire anche lì le nostre chiese, seppure in un ruolo e in un ambito ecclesiastico diverso, con onore, e anche con timore e tremore. Perché i compiti che riceviamo sono anche segni della fiducia delle nostre chiese e ci accompagnano verso il più alto senso di responsabilità: nei confronti del Signore, dell’annuncio che ci viene affidato quindi nella testimonianza, e delle persone.

Il “Laboratorio Umano di Rigenerazione Territoriale” (LURT). È un’idea straordinariamente innovativa, non soltanto nell’ambito delle chiese, ma in generale. Lei ha parlato di una replicabilità di questo tipo di progetto. Come dare altre gambe a questa idea, anche altrove, fuori dalla Sicilia?

Il Laboratorio Umano di Rigenerazione Territoriale è la dimostrazione che volere è potere. Per quanto marginali e minoritarie siano le nostre dimensioni ecclesiastiche, per quanto possano essere frustranti le dinamiche che a volte rubano tempo ed energie inutilmente, per quanto sconclusionati possiamo noi sentirci, il Signore ci pone davanti a sfide che vanno colte. Il Laboratorio nasce da una follia, perché all’inizio era una follia, e tutti l’hanno etichettata in questo modo.

L’idea di fondo è questa: contaminarsi. Ora, mi rendo conto che in questo periodo di pandemia e post-pandemia, di influenze e virus e quant’altro, la parola contaminazione abbia assunto un significato e un’aura totalmente negativa. In realtà, per me, come cristiano evangelico valdese, non è così. Dio in Gesù si contamina con l’umanità, cerca questo elemento di contatto. E noi dobbiamo farlo in una società che geme ed è in travaglio. Cercando forme nuove di aggregazione, partecipazione, e soprattutto riscoperta dell’impegno delle persone. Questo si può fare mettendo insieme esperienze diverse. La sociologia, l’architettura, la ricerca sul territorio, la riscoperta degli spazi, perché andare avanti non significa rinnegare le tradizioni o rinnegare l’identità dei luoghi. Significa dare a questi luoghi, a questi territori dove noi siamo, una prospettiva, un fiato, una voce nuova e rinnovata. Il LURT è questo.

Quello che abbiamo fatto a Riesi, sì, è replicabile. L’idea di fondo è partita proprio in questo modo. Nessuno vieta di poter replicare questa esperienza altrove, seppur in forme e modi diversi. La precedente Tavola valdese mi aveva chiesto, tempo fa, se questo pensiero potesse essere esportabile. Lo confermo, è possibile. Il LURT lo fanno le persone, insieme. Non lo fanno certamente il direttore o l’ex direttore del Servizio Cristiano, si può fare anche oltre Riesi. Abbiamo provato a farlo, con risultati che ci sembrano incoraggianti e belli.

Sente sua la paternità di questa idea?

Sì, come sento mie tante altre “follie” che in questi anni mi sono state prima rinfacciate e poi applaudite. Le cose che faccio, tuttavia, non le faccio per la cronaca. Lavorare per il Signore, infatti, ci pone davanti una prospettiva più lunga che supera noi ma nella quale ci siamo anche noi. Se c’è qualcosa di buono, di onorevole, questo viene fuori e si valorizza insieme agli altri. Perciò quando qualcosa funziona insieme agli altri, diventa patrimonio collettivo, esperienza condivisa di tutte e di tutti. Spero che questo possa essere portato avanti e che il Servizio Cristiano preservi la sua autonomia, perché è in questa autonomia che si è potuto svolgere il suo ministero in oltre sessant’anni. Ed è in questa autonomia che il LURT è nato e sono nate tante altre esperienze. Confido che il Signore ci illumini e ci dia la forza di salvaguardare quello che va salvaguardato.