Karlsruhe (NEV), 2 settembre 2022 – L’elefante nella stanza è la questione ucraina. O meglio, cosa decideranno di fare e dire le chiese cristiane, dopo le prese di posizione del patriarca di Mosca Kirill, e il suo sostegno a Putin. Mentre si attende l’esito finale del summit in corso a Karlsruhe, oggi all’XI Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese è intervenuto l’Arcivescovo Yevstratiy di Chernihiv e Nizhyn della chiesa ortodossa di Ucraina (qui il testo del suo discorso).
«La #guerra non riguarda solo Russia, #Ucraina ed #Europa. Si tratta di #sicurezza a livello mondiale. Dove sarà il prossimo conflitto?», le parole del rappresentante della Chiesa ortodossa Ucraina ora a #Karlsruhe #WCCassembly. «Siamo aperti al dialogo ma non alla propaganda». pic.twitter.com/VL2WhKflnh
— Agenzia NEV (@nev_it) September 2, 2022
Ma oltre a quella guerra, l’evento internazionale che si sta svolgendo in Germania è un catalizzatore per molti altri conflitti, per molte altre voci che parlano di occupazioni e di diritti negati. Ma anche di speranza e possibilità di “riconciliazione”. Ne abbiamo incontrate alcune.
Palestina
Rifat Kassis è un noto attivista, palestinese cristiano nato nella West Bank, esponente di Kairos Palestine, un movimento nato dal “Documento Kairos“, che sostiene “la fine dell’occupazione israeliana e il raggiungimento di una giusta soluzione al conflitto”. Quello che vogliono è “creare consapevolezza su quanto sta accadendo in Palestina ma anche dare speranza alle persone: la situazione cambierà, l’occupazione terminerà, il sistema di apartheid creato e rafforzato negli ultimi anni deve avere una fine, per avere una giusta pace nella regione. Siamo qui per chiedere al WCC di adottare una nuova politica – ha detto Kassis – che riconosca la situazione sul campo, l’urgenza di quanto sta accadendo e la necessità che finisca subito. Bisogna chiamare le cose con il loro nome. Considerato che molte organizzazioni internazionali per i diritti umani definiscono Israele come un sistema di apartheid (qui la dichiarazione di Amnesty International, ndr) questo deve finire: la precondizione per la pace è questa. Siamo qui per fare pressione per una risoluzione che possa essere una road map per la pace”.
La soluzione dei ‘due stati, due popoli’, per l’esponente di Kairos, va superata. “I fatti sul campo dimostrano che non funziona. Tutte le soluzioni proposte fino ad ora sono fallite, perchè tutte hanno fallito nel fare capire la realtà, la situazione va considerata andando alla radice del problema. Da lì vogliamo partire. Non siamo qui per decidere, non siamo politici, non siamo qui per dare risposte o proporre soluzioni. Ma la conditio sine qua non per una soluzione giusta è smetterla di illuderci con soluzioni che non sono praticabili. Ne abbiamo parlato negli ultimi quarant’anni e non è successo nulla…”
Cosa possono fare le chiese? “Tante chiese stanno già facendo molto. Ad esempio, boicottano i prodotti, le aziende, le compagnie, le banche che traggono benefici dall’occupazione. Ma ancora più importante è che le chiese possono avere una voce più etica e non lasciare il campo a politici corrotti. Le chiese – se vogliono – possono giocare un ruolo ed è quello dell’etica, della morale, dei principi basati sull’umanità. Possono sia agire, con disinvestimenti e boicottaggi, ma anche essere una voce etica. Come palestinesi, la nostra più grande speranza oggi è nella società civile, nelle mani dei popoli, perché sfortunatamente tutti i governi sono molto lontani…Tutti i governi occidentali, gli Usa, i Paesi europei stanno finanziando e sostenendo l’occupazione, e danno l’immunità a Israele di fare ciò che vuole, ignorando i diritti umani e le leggi internazionali…Noi vogliamo rigettare la disumanizzazione del popolo palestinese. Cercano di silenziare la nostra voce, distorcere i fatti agli occhi dell’opinione pubblica e “impaurire” le persone con l’antisemitismo: ogni critica diventa subito una forma di antisemitismo e per me terrorizzare le persone e negare loro il diritto di parola e di espressione, questo è terrorismo”.
Nota. Qual è la posizione del CEC (WCC in inglese) su Israele e Palestina? In una dichiarazione pubblica del Comitato centrale del CEC del 18 giugno vi è un “appello per la fine dell’occupazione e per la parità di diritti umani per tutti” in Terra Santa. Il WCC ha riconosciuto lo Stato di Israele sin dalla sua istituzione nel 1948, ha affermato le garanzie delle Nazioni Unite per la sua esistenza, ha riconosciuto il diritto di Israele di proteggere il suo popolo secondo il diritto internazionale e sostenuto le assicurazioni dell’integrità territoriale di Israele e di tutte le nazioni della regione. Il consiglio ha costantemente chiesto la fine della violenza, denunciato tutte le forme di antisemitismo, fatto appello per la fine degli insediamenti illegali nei Territori Palestinesi Occupati e promosso una soluzione negoziata, a due stati, del conflitto. Il WCC non ha mai chiesto un boicottaggio economico dello Stato di Israele ma collabora con le chiese e altre organizzazioni per una pace giusta in Palestina e Israele attraverso tutti i possibili mezzi non violenti, politici e diplomatici. Il WCC non promuove boicottaggi basati sulla nazionalità in questo o in qualsiasi altro contesto. Né sposa misure economiche contro Israele. Tuttavia, ha una posizione politica di lunga data a favore del boicottaggio di beni e servizi dagli insediamenti (considerati illegali a livello internazionale) nei Territori Palestinesi Occupati.
Usa
Tawnya Denise Anderson è una pastora della Chiesa presbiteriana statunitense, serve in Kentucky, vive vicino a Washington DC e fa parte del direttivo della Missione Presbiteriana.
“Per me è la prima assemblea CEC ed è affascinante. Dopo la pandemia è bello confrontarsi su tanti temi cruciali, incontrarsi di nuovo e renderci conto di come ci prendiamo cura gli uni degli altri”, dichiara.
Sul diritto all’aborto negli USA, “come chiesa presbiteriana Usa da tempo supportiamo il diritto all’aborto e alla salute riproduttiva delle donne. Ovviamente non siamo monolitici, capiamo anche che all’interno di alcune nostre tradizioni ci sono persone che non la pensano come noi rispetto all’aborto – nella nostra denominazione si tratta di una minoranza. Ma per la maggior parte di noi il tema dell’aborto rientra nella salute riproduttiva e nel diritto all’accesso alle cure. Continuiamo questa battaglia per i diritti delle donne, attraverso i nostri uffici a livello nazionale, e supportiamo le altre denominazioni che lo fanno a livello locale”. Le chiese europee e mondiali possono fare qualcosa? “Intanto unirsi a noi nelle preghiere. Ma anche aiutarci nel raccogliere fondi per le persone che devono viaggiare per avere accesso alle cure relative all’interruzione di gravidanza, da uno Stato all’altro. E possono parlare coi loro governanti, fare pressione affinché la situazione negli Stati Uniti e la decisione della Corte suprema venga criticata a tutti i livelli”.
Il diritto alla salute si intreccia con le sfide del movimento Black lives matter. “La nostra denominazione è composta per il 90 per cento da bianchi e abbiamo una lunga storia di azioni nonviolente, prese di posizione, impegno e testimonianza al fianco dei movimenti contro le discriminazioni. E sappiamo ad esempio che è sulle persone di colore che la svolta della Corte suprema avrà le conseguenze peggiori, sulle persone che già vivevano delle profonde disparità in termini di accesso al sistema sanitario, le famiglie nere, i nuclei più poveri e vulnerabili: è un tema, quello dell’aborto, dunque non solo di giustizia di genere e di salute ma anche di giustizia razziale, come spesso accade”.
Cuba
Edelberto Juan Valdese Fleites è pastore della Chiesa presbiteriana – Riformata di Cuba ed è a Karlsruhe insieme a una delegazione di undici persone che rappresentano diverse comunità cristiane dall’isola. Per l’esponente cubano, l’evento in corso parla di “riconciliazione, dialogo, comprensione e stiamo celebrando quest’assemblea in un mondo in cui tutto ciò manca. Anche per la chiesa cubana tutte queste parole sono fondamentali. Abbiamo molte difficoltà economiche, e come possiamo vivere unità, dialogo, comprensione e riconciliazione in una società con così tanti problemi?I motivi dei problemi di Cuba hanno ragioni complesse: una di queste, da sessant’anni, è il Bloqueo economico e finanziario mantenuto dagli Usa contro Cuba. E c’è un problema di efficienza nostra, all’interno del nostro Paese, di tante cose che non funzionano. Quello che cerchiamo di fare è aiutare la popolazione, attraverso diversi progetti sociali, dalla purificazione dell’acqua alla cura degli anziani e dei bambini. Cerchiamo soprattutto di dare speranza alle persone e di risolvere i problemi della gente, per quanto ci è possibile come chiese”. Il dialogo è un valore per le chiese cubane e lo coltivano anche con il Partito comunista cubano, “l’unico partito che abbiamo. Esiste un ufficio ad hoc che si occupa proprio delle relazioni tra le chiese e gli enti ed organismi statali, risolve anche molti problemi pratici – come ad esempio la ristrutturazione e la manutenzione degli edifici delle chiese – in diversi ambiti. C’è un dialogo, non sempre è facile ma è comunque uno spazio di discussione e soprattutto di ascolto, che è importante”.
La delegazione cubana chiederà al WCC una presa di posizione contro l’embargo, che colpisce “non tanto il governo quanto la popolazione cubana. Vorremmo un cambio di politica degli Stati Uniti nei confronti di Cuba, per avere una vita meno faticosa. E vorremmo che le chiese e l’opinione pubblica parli del popolo cubano. Il bloqueo ci sta separando e il tema di questa assemblea è proprio la riconciliazione: non potremo mai essere uguali, ma almeno possiamo vivere in dialogo dentro la differenza”.
Uruguay
Rogelio Dario Barolin è pastore della Chiesa valdese di Rio de la Plata, ordinato nel 1999, negli ultimi sei anni è stato segretario dell’Alleanza delle chiese presbiteriane riformate dell’America Latina. In questi reti, si cerca di “vincolare l’economia alla teologia“.
Per questo negli anni scorsi è stata lanciata anche in America Latina, dopo che in altri continenti, la campagna #ZacTax “nel nome della figura e seguendo l’esempio di Zaccheo, per un modello tributario che sia giusto e capace di riparare le ingiustizie che sono state create”. Perchè “l’economia non è solo una scienza che si occupa di numeri ma ha un valore e dovrebbe avere a che fare con ciò che è etico e giusto. E ci dice anche cosa, come società, tolleriamo o accettiamo, in termini di ingiustizia”. Per ogni Paese saranno studiati e proposti modelli differenti, a seconda dei contesti e delle leggi vigenti.
Quanto al ruolo delle comunità evangeliche nella società, essere “un luogo dove la gente può essere accolta e accompagnata, questa è una delle sfide più importanti per le chiese protestanti. Abbiamo una capacità di resilienza molto grande e una teologia che risponde a tante necessità di questo tempo; il problema è come comunicare. Spesso noi veniamo dai ghetti, ma è come se ci tornassimo, se ci rinchiudessimo in un ghetto, da soli”.
In Uruguay, infine, “c’è una involuzione sui temi dei diritti, c’è una crescente criminalizzazione della protesta sociale, negli anni post covid la distribuzione della ricchezza si è polarizzata, è aumentata la sperequazione e si sono aggravati i problemi delle persone più vulnerabili…C’è molto da fare”.
Per maggiori informazioni sulla campagna #ZacTax: http://wcrc.ch/zactax.
Il pianeta
C’è un’altra guerra dimenticata o forse negata in quanto tale ed è quella del genere umano contro la Terra. Oggi nella città tedesca si è svolta una – piuttosto piccola considerato il numero di persone presenti all’Assemblea CEC – manifestazione di protesta, in connessione con i #FridaysForFuture, con un corteo che è arrivato fino all’entrata del summit ecumenico, interventi di giovani e attivisti, canti e balli per l’ambiente. La fede, si legge su uno dei cartelli dei giovani in corteo, è green.
- Altri materiali e notizie su oikumene.org, in italiano qui su nev.it e su riforma.it.
- Le foto dell’Assemblea WCC a questo link: https://oikoumene.photoshelter.com/galleries/C0000VFYoZ6eMlZc/WCC-11th-Assembly-Karlsruhe-Germany
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