Non solo predicare ma anche praticare

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). O dalle volontarie e dai volontari che accompagnano per periodi più o meno lunghi il percorso di MH. Oggi “Lo sguardo” proviene dalla Casa delle culture di Scicli ed è stato scritto dal volontario del servizio civile Lorenzo Sgro.

Roma (NEV), 27 settembre 2022 – Fin dall’inizio della sua avventura la “Casa delle Culture”, il centro di Scicli (RG), ha sempre ricevuto l’apporto fondamentale della comunità metodista locale. Franzo Trovato (65 anni), attuale presidente del consiglio di chiesa, da prima dell’apertura della struttura, racconta la storia della sua comunità e del suo coinvolgimento con il centro.

Non solo Franzo ha accolto la richiesta della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) di aprire un centro di accoglienza per alleggerire la situazione emergenziale dell’hotspot di Pozzallo nel 2014, ma si è anche messo in gioco personalmente. Infatti, insieme a sua moglie Teresa (60 anni), responsabile dell’Opera Diaconale Metodista di Scicli e direttrice dell’asilo annesso, ha aiutato una donna ivoriana sbarcata incinta a Pozzallo, Iolande, accogliendola in casa sua e contribuendo alla crescita della figlia, Sara. “La fede in Cristo non solo si deve predicare ma pure praticare”, precisa Franzo all’inizio della nostra conversazione. Di seguito l’intervista, realizzata a Scicli lo scorso 13 agosto.

In che modo avete partecipato alla fondazione di “Casa delle Culture” e cosa vi ha spinti a partecipare?

Una scommessa con noi stessi. Ci hanno contattati dalla FCEI. Allora il presidente era Massimo Aquilante e Paolo Naso era coordinatore di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Ci conoscevamo da diversi anni e ci hanno chiesto se si poteva fare un centro d’accoglienza a Scicli, visto che c’era la comunità e che siamo vicini a Pozzallo, dove c’è l’hotspot. Eravamo titubanti, ci chiedevamo a cosa andassimo incontro. Una cultura diversa, lingue diverse, tutto diverso. Però loro ci hanno detto che potevamo riuscirci. E io ho detto: “Obbedisco!” Infatti questo era già il nostro modo di vivere il Vangelo.

Che difficoltà avete trovato all’inizio?

La difficoltà l’abbiamo riscontrata non tanto con i ragazzi, che arrivavano e chiedevano solo affetto, tranquillità, serenità e sicurezza, ma con il paese, con alcuni commercianti che hanno fatto una raccolta di firme. Hanno raccolto 900 firme. Rispettabilissimi. Visto che non la pensano come me, io rispetto la loro opinione. Ma io devo anche rispettare chi ha firmato l’Otto per mille alle nostre chiese… Noi abbiamo un popolo ecclesiale di 22.000 persone. Più del doppio della raccolta firme. Dovevamo rispettare anche loro.

Come avete affrontato le difficoltà?

Io personalmente con gli ospiti sono andato prima alla ricerca di sicurezza e tranquillità. Si fa quel che uno sente di fare. Con gli oppositori è stato un po’ strano. Francamente neanche noi sapevamo cosa dovevamo fare, cosa stava nascendo. Alla fine si sono ricreduti, eccetto una sparuta minoranza. Comunque la popolazione si è ricreduta, perché hanno visto cosa facevamo. I primi anni sono stati veramente belli, c’è rimasto un bel ricordo dei ragazzi che sono passati di qua. Con alcuni siamo ancora in contatto.

Avete cercato il sostegno di altre realtà del territorio?

Il sostegno è stato spontaneo, soprattutto di associazione progressiste, con idee vicine alla nostra chiesa. Ci hanno sostenuto anche moralmente. Hanno voluto accompagnarci e ci accompagnano tutt’ora.

In che modo vi siete impegnati per Iolande?

È stata una cosa spontanea, quasi naturale. Una ragazza che arriva incinta e partorisce a Scicli non si può fare altro che aiutarla. E oggi non fa altro che dire: “Ringrazio il Signore per avervi incontrato”.

Anche lei vi ha “accolti” nella sua vita?

Sì. Lei ci ha accolti in questa maniera: ha riconosciuto che noi non eravamo persone che lo facevano “tanto per”, ma consapevoli di quello che facevamo. Poi lei aveva bisogno di persone che le stessero vicino. Lei andava a lavorare, faceva orari pazzeschi. Alla fine abbiamo detto: “La bambina la teniamo noi e quando non lavori la tieni tu. Non possiamo farla crescere in maniera instabile”.

Cosa vi aspettavate quando avete cominciato a prendervi cura di Sara?

Se ti assumi delle responsabilità e ne sei consapevole, non ti aspetti nulla. Non puoi aspettarti nulla, lo devi fare e basta. La cosa che più premeva a me e a mia moglie era che Sara avesse un’infanzia tranquilla e serena, come dovrebbe essere per tutti. E ci abbiamo provato, ci stiamo provando e credo che ci siamo riusciti.

In che modo questo ha influenzato la vostra vita familiare?

Considera che io non solo noi abbiamo accolto loro ma anche tutto ciò che si è creato attorno a lei. Le abbiamo dato casa, perché aspettiamo un’altra figlia, che ha appena compiuto 18 anni e arriverà a breve.

In che modo questa “avventura” ha cambiato il vostro modo di vivere la fede?

La fede o la pratichi o non ce l’hai. Questa è un’avventura che potremmo rifare di nuovo tranquillamente, senza cambiare una virgola. Perché è servita a crescere. La fede è il punto di partenza. Sono convinto che sia il dovere di ogni cristiano. Accogliere, dare. Se hai tanto, dai.

Avevate timore che Sara non vi accettasse come genitori?

Anche se non siamo i genitori naturali, abbiamo messo lo stesso impegno, come fosse nostra figlia naturale.

Tu e tua moglie avete figli?

No, ma noi siamo suoi genitori come lo siamo stati di tanti ragazzi passati di qua. Uno dei ragazzi l’ho accompagnato in Svizzera, un ragazzo eritreo che ora studia e lavora in Svizzera e ci siamo sentiti di recente.

“Rallegrati, sterile, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito”.

Io non so se rallegrarmi. Però l’ho fatto e non mi giro indietro per non diventare statua di sale.