La fiducia in una “stagione dei diritti civili”. Intervista a Fausto Tortora

Continua lo speciale NEV per riprendere i temi del convegno “Pluralismo religioso, integralismi, democrazie”, recentemente tenutosi a Roma. Intervista al vice presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso

Aarón Blanco Tejedor, unsplash

Roma (NEV), 14 marzo 2023 – Lo “Speciale libertà religiosa” dell’Agenzia NEV continua con la voce di Fausto Maria Tortora, vice presidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso, che ha promosso il convegno “Pluralismo religioso, integralismi, democrazie”. Fra i partner dell’iniziativa, anche la Rivista e Centro Studi Confronti, la Biblioteca Centrale Giuridica, la rivista Questione Giustizia e la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

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Intervista a Fausto Tortora.

La Fondazione di cui lei è vicepresidente ha recentemente organizzato il convegno dal titolo: “Pluralismo religioso, integralismi, democrazie”. Che bilancio si sente di fare dal punto di vista della partecipazione e dei contenuti?

Il Convegno a cui lei si riferisce e di cui la Fondazione Lelio e Lisli Basso è stata fra gli organizzatori, sulla base di una sollecitazione a noi pervenuta da un gruppo di Magistrati assai qualificati, è stato indubbiamente un successo. Innanzitutto dopo la pandemia e le conseguenti modalità di riunione che tutti abbiamo subìto, rivedere sale piene, stili di interlocuzione non mediati da schermi di computer, è stato emozionante. Ma, accanto a questo dato (che non è puramente quantitativo) direi che siamo riusciti ad avere una interlocuzione di primissimo livello a cui ha corrisposto un pubblico generoso e attento. Ritengo che abbiamo soprattutto reso evidente la necessità e una volontà collettiva di riproporre il grande tema della libertà religiosa in questo Paese, senza tabù o timidezze. Tutte le confessioni religiose, da noi invitate, hanno saputo e voluto cogliere l’occasione di riconoscere proprio la sede del Convegno come un luogo per rilanciare una battaglia di civiltà e di libertà. E il respiro, anche internazionale dei relatori, ha conferito un forte prestigio all’intera iniziativa.

Secondo lei, quali sono le principali resistenze della politica in merito al tema della libertà religiosa?

Ignoranza e pigrizia intellettuale: questi sono i due poli che spiegano l’immobilismo della politica italiana su questa tematica. Mi piacerebbe fare un questionario fra i nostri parlamentari: deputati e senatori, per sapere quanti di loro sappiano muoversi nel “mondo delle religioni”, oltre il sentito dire. Eppure la realtà dell’Italia, Paese di immigrazione, obbligherebbe ogni personaggio che rivesta una carica pubblica a conoscere per decidere, quanto meno ad informarsi oltre i luoghi comuni. Eppure, testimoni del pluralismo religioso abitano le nostre stesse case, i quartieri delle nostre città: dal negoziante al “pizzettaro”, dalla colf all’assistente agli anziani o all’infermiera che troviamo negli stessi ospedali pubblici. Dico anche pigrizia intellettuale perché per molti politici il motto “quieta non movere” sembra l’imperativo valido per ogni stagione. Anche per questa, che pure sotto l’impulso dell’attuale pontificato potrebbe consentire ai “cattolici” obbedienti di osare qualche manifestazione di laicità, ovvero di libertà e, magari, di maggior fedeltà ai valori e al messaggio del Vangelo.

Dal punto di vista, invece, della società italiana: esiste a suo avviso una paura del pluralismo religioso? Oppure siamo di fronte a una incapacità, collettiva e reciproca, di riconoscere le identità proprie e quelle altrui?

Anche in questo caso parlerei di ignoranza: paura frutto di diffidenza o di mancata conoscenza dell’altro. Certo è che se la politica non fa il suo mestiere, innanzitutto educativo, e alimenta concorrenza invece che spirito di coesione, chiusure culturali invece che curiosità per le diversità di cui ciascuno di noi è portatore, le problematiche conflittuali sono destinate ad aumentare e, magari, qualcuno potrebbe trarne un meschino e miope vantaggio politico. Certo che la scuola, da questo punto di vista, è l’istituzione cruciale, e non solo per i bambini e i giovani, ma per le famiglie e le comunità: anche così si abbattono muri e si crea cultura di comunità.

Pensa che si possa mettere mano a questa materia considerando tutti gli aspetti della questione, fra cui: laicità dello Stato; simboli, edifici e abiti religiosi; insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica; disponibilità e trasparenza nell’utilizzo dei fondi (otto per mille in primis)?

Se non nutrissi fiducia che non solo si debba, ma si possa metter mano a questa materia, anche approfittando della “finestra storica” offerta dall’atteggiamento di un papa della chiesa cattolica che viene dalla “fine del mondo”, certo non mi sarei impegnato con la Fondazione in cui lavoro. Invece avverto un interesse nuovo per la stagione dei diritti civili e quindi per il tramonto di antistorici privilegi di cui la confessione maggioritaria gode da qualche secolo. In questo quadro, non considero tabù discutere pubblicamente dei fondi dell’8 per mille e del suo utilizzo, ma soprattutto vorrei una discussione pubblica sul privilegio dell’insegnamento (e degli insegnanti) della religione cattolica nelle scuole e soprattutto sullo scandalo dei cappellani militari: sacerdoti inquadrati nelle file dell’esercito nel tempo della terza guerra mondiale a pezzi.