Il mio anno di volontariato nella Casa delle Culture a Scicli

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici, dalle volontarie e dai volontari, di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Scicli ed è stato scritto dalla volontaria Jule Brandl (tedesca, da Karlsruhe, che ha studiato italiano negli ultimi mesi, ndr)

Roma (NEV), 13 luglio 2023 – Mi chiamo Jule, ho 18 anni, vengo dalla Germania e da settembre 2022 sono a Scicli per fare un anno di volontariato nella “Casa delle Culture”.
La “Casa delle Culture” è un centro di accoglienza per i rifugiati che arrivano qui attraverso i corridoi umanitari. Uno dei compiti principali della “Casa delle Culture” è di accompagnare gli ospiti nel processo di richiesta dei primi documenti e di aiutarli a creare e strutturare al meglio la loro nuova vita nella realtà italiana.

I compiti di noi volontarie sono molto diversi e questo è quello che mi piace di più del mio lavoro: la molteplicità delle cose da fare e la nostra indipendenza, che ci permette di organizzare e pianificare vari progetti e di impegnarci nella struttura nei modi che corrispondano anche alle nostre personalità. Da questa forma personale del lavoro nasce uno scambio arricchente tra noi e la “Casa delle Culture”, da cui tutti traggono vantaggio.

Sono molto contenta di essere in contatto con gli ospiti e di condividere un po’ delle nostre vite. Mi piace parlare e giocare insieme, imparare gli uni dagli altri, capire che noi veniamo da parti così diverse del mondo, che abbiamo vissuto una vita che è incomparabile, che non parliamo bene la stessa lingua ma che alla fine non ci vuole molto per ridere insieme o per sentirsi vicini. Sono contenta di parlare delle nostre vite, di creare delle amicizie personali, di sentire e vivere anche le differenze culturali.

Durante quest’anno ho anche capito che queste diversità non portano solo gioia ma che è anche difficilissimo sentire che siamo cresciuti con dei valori diversi, con un’immagine della vita diversa. Il contatto con gli ospiti della “Casa delle Culture” mi ha fatto capire com’è difficile il processo di inclusione. Sentire che le persone con le quali stai bene o con le quali vuoi stare bene guardano il mondo in un modo che giudichi o che ti fa sentire male è difficile; capire che ci possono anche essere distanze che sembrano incolmabili, come ad esempio nella visione delle donne nella società e sulla questione di genere, mi ha fatto male qualche volta.

Per incontrarsi costantemente, abbiamo organizzato diversi progetti quest’anno: abbiamo cucinato con i ragazzi, abbiamo parlato di diversi temi come razzismo, misoginia e omofobia in occasione della Giornata internazionale della tolleranza, abbiamo giocato insieme a calcio e a pingpong, ho dato lezioni di chitarra, siamo andati in gita al mare, abbiamo imparato l’italiano insieme e abbiamo festeggiato diverse ricorrenze insieme, come la giornata dell’Africa.

Sono spesso colpita dalla gioia con cui gli ospiti si immergono nella vita difficile che devono affrontare come rifugiati in Italia e come loro si avvicinano a noi. Questo modo di vivere è una cosa che mi fa molta impressione.

Nel pomeriggio la “Casa delle Culture” offre un doposcuola. Noi abbiamo aiutato i/ le bambin* a fare i compiti e abbiamo giocato con loro. Questo lavoro è molto divertente per me, perché mi piace l’energia, la voglia di giocare e la creatività dei bambini. È bello per me osservare che di solito per i/ le bambin* non fa differenza la provenienza dei loro compagni di gioco. La cosa più importante è che giochino. La maggior parte dei/ delle bambin* del doposcuola vengono da famiglie non italiane. Durante l’anno ho capito quant’è difficile per i/ le bambin* che non parlano italiano a casa imparare la lingua rispetto a i/ le bambin* che hanno un grande sostegno a casa. Ho capito quanto tempo dura il processo dell’inclusione e che fuggire non include “solo” il tempo del viaggio, ma che è un compito che dura per molte generazioni.

Io mi sono candidata per fare il mio volontariato in questo centro perché la politica dei rifugiati dell’UE mi fa arrabbiare. E questa rabbia mi ha dato la voglia di capire meglio la situazione dei rifugiati che arrivano nell’UE, per poi pensare a nuove soluzioni per trovare un rapporto e una politica più aperta e adatta alle persone che arrivano.

Il volontariato qui a Scicli nella “Casa delle Culture” mi ha insegnato molto. Mi ha insegnato tra l’altro che la rabbia è importante per mettersi in movimento e per non accettare delle situazioni che sono inaccettabili. Ma ho anche capito che la rabbia non è il sentimento che porta avanti le persone che fuggono in Europa ma lo sono la pazienza e la curiosità.

Dopo qualche mese, mi sono anche chiesta perché la maggior parte dei ragazzi non si è integrata immediatamente molto bene a Scicli. Spesso passano molto tempo a casa o tra di loro. Ma col tempo ho capito: ora ho l’impressione che aspettino. Aspettano di avere il permesso di soggiorno, aspettano di trovare il lavoro, aspettano di andare avanti, lontano della Sicilia, sempre nella direzione del nord. Sopportare una vita nello stato di attesa e di speranza richiede molta pazienza e perseveranza.

All’inizio di quest’anno Kwaula, una signora siriana che sta nella “Casa delle Culture” da quasi due anni, ha offerto un corso d’arabo. In questi due mesi del corso non ho solo imparato un po’ la scrittura e alcuni vocaboli arabi, ma abbiamo parlato tanto delle nostre realtà della vita. Queste ore di domande e risposte di ascoltare e raccontare mi hanno fatto capire che è la comunicazione che ci porta vicino anche se veniamo da lontano. Che è la curiosità che ci fa imparare e che ci permette di andare avanti. Insieme.