Il Presidente a Torre Pellice. Il discorso della Moderatora della Tavola valdese

Le parole della Diacona Alessandra Trotta di fronte a Mattarella: "Avvertiamo noi per primi la responsabilità di trasmettere, non solo alle nuove generazioni, ma anche a chi viene da un altrove il senso del vivere (anche la propria fede) in un contesto diverso da quello d’origine; di sentirsi parte di una storia, di impegnare i propri talenti per il bene comune, senza retrocedere da quelle conquiste di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani raggiunte in Europa dopo gli orrori di guerre anche di religione fra cristiani, dell’Olocausto, di feroci (purtroppo sempre risorgenti) nazionalismi, che strumentalizzano l’appartenenza religiosa come cemento e fonte di legittimazione di una unità non plurale, ma fondata su identità chiuse e respingenti, violente ed oppressive".

Foto di Pietro Romeo/Riforma

Roma (NEV), 31 agosto 2023 – Di seguito il discorso della Moderatora della Tavola valdese, Alessandra Trotta, in occasione della visita del Capo dello Stato a Torre Pellice. Al termine dell’incontro con la chiesa valdese, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato alla stazione di Brandizzo, dove stanotte sono morti cinque operai travolti da un treno.


“Egregio presidente,

è un onore accoglierla (con l’intera Tavola valdese ed una rappresentanza dei principali organismi ecclesiastici, delle chiese di queste Valli e di istituzioni formative e culturali) in questo spazio così significativo per la storia e la vita della nostra Chiesa.

Questo luogo venne realizzato nel 1889, in occasione del bicentenario del cosiddetto Glorioso Rimpatrio, evento storico che vide i valdesi, dopo tre anni di esilio in Svizzera, ritornare nelle terre dalle quali, con la violenza, erano stati cacciati, in un tempo in cui la diversità di fede era soffocata con la persecuzione. Qui, da allora, la nostra Chiesa ha tenuto ogni anno le proprie assemblee sinodali, luogo di discussione e decisione e massima espressione di unità di tutte le chiese locali, che rinunciano a porzioni della loro autonomia per una condivisione di risorse che guarda al camminare insieme, allo sviluppo comune, al soccorso del bisogno maggiore come al modo per fare il bene di tutti, secondo l’insegnamento che ricaviamo dalle parole e dalla prassi di Gesù.

L’affresco che occupa l’abside e che rappresenta, con una quercia che affonda le proprie radici sulla roccia, la vicenda valdese nel suo percorso di resistenza nei secoli all’oppressione subita, ci collega, mediante il suo autore, alla storia dell’Italia repubblicana: il suo autore è infatti quello stesso Paolo Paschetto, valdese, che realizzò lo stemma della Repubblica Italiana. La roccia nella quale affondano le radici non è l’umano convincimento che alimenta la resistenza in favore di una causa giusta: è, nella prospettiva di fede, la parola che fonda la vita dei credenti, che li chiama a libertà e senza la quale non vi è terreno sul quale poggiare il piede.

E’ tanto più significativo che proprio in questo spazio alcuni dei protagonisti che la sua presenza a Torre Pellice viene oggi ad onorare hanno espresso il loro impegno coniugandolo con la loro fede, in un inestricabile intreccio di pensiero e vita. La generazione che si impegnò nella resistenza al regime nazi-fascista – una resistenza che non vorrei definire “valdese”, ma composta da molti valdesi che ebbero la lucidità per riconoscere le necessarie scelte da compiere (seguendo una coscienza consapevole della tragicità di quelle scelte, dunque senza esaltazioni, senza odio per un nemico) – questa generazione crebbe anche in quest’aula e grazie al modo in cui, in questo spazio, si viveva la riflessione di fede e si assumevano le decisioni relative alla vita della chiesa.

Si trattò in alcuni casi di pastori o di futuri pastori; si trattò anche di molti membri di chiesa non pastori, come, appunto, Mario Alberto Rollier; si trattò di donne e di uomini, originari di queste Valli e di altri luoghi (come Willy Jervis e il metodista Jacopo Lombardini, la cui pietra d’inciampo, Le verrà mostrata nella seconda parte di questa Sua visita); di giovani e di persone più mature. Tutti avevano respirato un senso di libertà che derivava anche da un modo di leggere la Scrittura e di vivere la fede, individualmente e comunitariamente; tutti seppero collegare questa dimensione con gli ideali e le aspirazioni di libertà che il nostro Paese visse nel terribile biennio successivo all’8 settembre.

Proprio l’8 settembre l’annuale Sinodo si incontrava in questa sala: le discussioni non condussero ad un pronunciamento chiaro della Chiesa tutta sulle proprie responsabilità, ma offrirono lo spazio per esprimere il travaglio dinnanzi all’oppressione. La Chiesa, che non poteva riconoscere altri signori se non l’unico Signore del mondo e della storia, pena l’accettazione della barbarie e della dittatura, non compì in quel momento atti di eroismo, tentò semplicemente di discernere, per essere fedele al proprio mandato.

In quello stesso Sinodo si avvertì anche l’urgenza di definire le linee della politica ecclesiastica nei rapporti con lo Stato, già nella prospettiva di un ritorno alla democrazia: indipendenza della Chiesa nello svolgimento della propria missione (senza limitazioni e vincoli) ed insieme riconoscimento della laicità delle istituzioni pubbliche, chiamate non a concedere posizioni di privilegio a qualcuno e neppure a relegare l’espressione religiosa alla dimensione privata, ma a preservare lo spazio pubblico come spazio plurale, luogo di incontro e dialogo. Nello spazio pubblico e nella libera circolazione delle idee si gettano le basi della comune costruzione civile, in un concetto attivo e partecipato di cittadinanza che vorremmo il più possibile esteso, nel senso dei diritti, ma anche dei doveri e delle responsabilità.

E fu sempre in questo tempo tragico che, proprio in queste terre, maturava (già nella prospettiva della ricostruzione dalle macerie materiali, etiche e spirituali della guerra), una testimonianza dell’Evangelo della riconciliazione; che infatti, non lontano da qui, nell’alta Val Germanasca, negli anni dell’immediato dopo-guerra ebbe una sua realizzazione incarnata nella costruzione, pietra dopo pietra, mettendo a lavorare fianco a fianco quei giovani che negli anni precedenti si erano trovati su fronti contrapposti, di un centro ecumenico internazionale che prese il nome di Agape. Ispiratore ne fu, in particolare, il pastore Tullio Vinay, poi senatore della repubblica.

Uno sguardo oltre, una visione allargata che, per questa Chiesa, è sempre stata, naturalmente ed essenzialmente, europea ed ecumenica: piccole valli montane, che però da secoli hanno potuto contare in tutta Europa su una rete di legami e di solidarietà che ci ha protetti nelle persecuzioni, e – anche nel tempo della costrizione in un ghetto – ci ha preservati da chiusure difensive e ristrettezze mentali e culturali.

La nostra storia ci ha resi aperti anche alla sfida trasformativa dell’accoglienza – dentro le nostre comunità come nella società- di nuovi arrivati da faticosi (quando non tragici) percorsi migratori.

Avvertiamo noi per primi la responsabilità di trasmettere, non solo alle nuove generazioni, ma anche a chi viene da un altrove il senso del vivere (anche la propria fede) in un contesto diverso da quello d’origine; di sentirsi parte di una storia, di impegnare i propri talenti per il bene comune, senza retrocedere da quelle conquiste di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani raggiunte in Europa dopo gli orrori di guerre anche di religione fra cristiani, dell’olocausto, di feroci (purtroppo sempre risorgenti) nazionalismi, che strumentalizzano l’appartenenza religiosa come cemento e fonte di legittimazione di una unità non plurale, ma fondata su identità chiuse e respingenti, violente ed oppressive.

Ci sembra, signor Presidente, questo il migliore contributo da dare nel tempo presente – da credenti – per contrastare il rischio di erosione dei diritti e di una marginalizzazione (economica, culturale, politica e spirituale) dell’Europa e – per quello che ci riguarda – dello stesso cristianesimo europeo. Ci si può salvare e riscoprire con gioia il senso di una vocazione specifica, solo rimanendo fedeli a quelle conquiste e valori fondativi per cui intere generazioni hanno speso e talvolta sacrificato la propria vita.

Come la generazione che in questa giornata Lei ha voluto ricordare nelle figure di Altiero Spinelli e di Mario Alberto Rollier – che ha saputo gettare le basi per la storia repubblicana che uscì dalla guerra e seppe scrivere la Carta costituzionale che ancora oggi ci guida, anche noi siamo oggi chiamati ad un impegno creativo e nutrito di utopia: non l’utopia che esprime il sogno irrealizzabile, ma l’utopia che è segno di un ideale da percorrere con scelte coraggiose”.

Diacona Alessandra Trotta, Moderatora della Tavola valdese

foto di Pietro Romeo/Riforma