L’agire profetico delle chiese per il corpo e per la mente

Intervista al pastore Sergio Manna, che fa parte della Commissione salute e cura del Consiglio ecumenico delle chiese. L’impegno della Commissione spazia dall’accesso alle cure sanitarie, alla prevenzione e cura dell’HIV, dalla salute riproduttiva alla salute mentale, fino al rapporto tra fede e scienza

Foto Albin Hillert / CEC

Roma (NEV), 21 marzo 2024 – A inizio marzo si è tenuta la prima riunione in presenza, a Ginevra, della Commissione salute e cura del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC). Ne fa parte anche il pastore Sergio Manna, al quale abbiamo posto alcune domande sul lavoro della Commissione e sulle prospettive future. Sergio Manna è anche cappellano ospedaliero, formatore per la pastorale clinica, nonché Supervisore di “Clinical pastoral education”.

In che modo è iniziata la sua collaborazione con la Commissione salute e cura e come ha accolto questo nuovo incarico?

L’anno scorso la Tavola valdese mi aveva comunicato di aver inviato il mio curriculum a Ginevra al Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) che cercava persone (con varie specializzazioni attinenti al mondo della salute e della cura) da inserire in questa commissione. Verso la fine del luglio scorso ho ricevuto una lettera dal segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese, il Prof. Jerry Pillay che mi comunicava l’elezione della mia persona da parte del Comitato Centrale. Ho accolto questa notizia con sorpresa e riconoscenza. Non mi aspettavo di entrare a far parte di un organismo mondiale e di questa commissione che conta 26 persone, altamente qualificate, provenienti da ogni parte del mondo. I primi incontri li abbiamo avuti in videoconferenza. Solo in questo mese di marzo (dal 4 all’8) ci siamo incontrati per la prima volta in presenza a Ginevra.

Foto Sergio Manna

Questa intensa sessione di lavoro in presenza della Commissione come si è svolta? Avete stabilito un’agenda per il prossimo futuro?

Ogni giornata si è aperta con un momento di preghiera nella bellissima cappella nella sede del Consiglio ecumenico delle chiese, dopodiché abbiamo avuto sia incontri in plenaria sia incontri in cui ci si distribuiva nei quattro gruppi di lavoro in cui è suddivisa la commissione e che sono: Access and Health care systems (che si occupa dell’impegno in vista dell’accesso di tutte le persone alle cure sanitarie, una cosa niente affatto scontata in varie parti del mondo). HIV and Reproductive Health (che si occupa sia delle problematiche legate alla prevenzione e cura dell’HIV sia di tutte le questioni relative alla sessualità, alla salute riproduttiva, alle cure perinatali e postnatali di madri e figli. Mental Health (che si occupa di tutte le questioni legate alla salute mentale). Faith and Science (che lavora sul rapporto tra fede e scienza).

Nel corso della settimana ci sono state anche delle sessioni di incontro con altre due commissioni del CEC, la Commission of the Churches on International Affairs (affari internazionali) e la Commission on Climate Justice and Sustainable Development (giustizia climatica e sviluppo sostenibile).

Esiste già un corposo documento del CEC che è denominato Strategic Plan 2023-2030 e che contiene alcune indicazioni sulle questioni che andrebbero affrontate nei prossimi 7 anni. In questi giorni nei quali la commissione si è trovata per la prima volta in presenza si sono individuate alcune priorità nei rispettivi gruppi di lavoro. Avendo scelto il gruppo Mental Health posso dire che tra le sue priorità sono state individuate le seguenti: il benessere olistico; la salute e il benessere mentali delle giovani generazioni; la solitudine e il senso di isolamento sperimentato da sempre più persone; il dialogo interdisciplinare e la cooperazione tra professionisti della salute mentale, operatori pastorali e comunità di fede; la formazione per aiutare le chiese e le comunità di fede a comprendere la definizione e le implicazioni della salute mentale e renderle capaci di essere luoghi di accoglienza per coloro che vivono il disagio mentale e per quanti se ne occupano; mappatura delle esperienze positive che vedono le chiese coinvolte in questo settore e diffusione dei modelli virtuosi.

Foto Sergio Manna

Quali sono stati gli aspetti secondo lei più interessanti di questa esperienza?

Oltre alle tematiche affrontate, sicuramente il vedere persone di fede, provenienti da ogni parte del mondo, da chiese diverse e con competenze diverse, unite nell’intento di mettere a frutto le proprie capacità, riflessioni ed esperienze a beneficio di una collettività ampia come il mondo. Trovo anche molto bella e importante l’attenzione del CEC a dare uguale spazio (sempre basato sulle competenze) non solo a donne e uomini, a ministri ordinati e laici, ma alle varie generazioni. Nel nostro gruppo di lavoro, ad esempio, abbiamo un moderatore che è un sacerdote ortodosso maturo, Stavros Kofinas, e una vice-moderatora che ha soltanto 24 anni (come mia figlia) e che è una infermiera colombiana molto in gamba, Lorena Catalina Bonilla Garcia.

La chiesa come luogo di cura e di accoglienza dei bisogni, non solo spirituali. Questa sembra essere una delle premesse della Commissione. Quali rischi/contraddizioni possono esserci? Ad esempio: a volte proprio nei luoghi dove ci si sente al sicuro possono esserci abusi. Oppure: il welfare dovrebbe essere appannaggio delle istituzioni politiche. Perché serve sempre, e ancora, il supporto del terzo settore, del volontariato, delle donne, delle religioni, spesso in chiave di gratuità/dono/oblazione?

Sì, questa è una delle idee importanti. Le chiese possono essere in questo mondo dei luoghi di cura e di accoglienza, luoghi in cui non vi siano esclusioni e discriminazioni. Ma sono anche luoghi nei quali si è chiamati a vigilare, perché proprio nei luoghi avvertiti come sicuri c’è sempre il rischio di sperimentare abusi. Proprio per questo è fondamentale investire nella formazione e nella supervisione di tutti coloro che si occupano di cura, a tutti i livelli. Il CEC è molto attento a questa dimensione, e non a caso si è dotato anche di un codice di condotta molto preciso che i suoi membri sono chiamati ad osservare attentamente. Esistono un apposito organismo al quale segnalare la violazione di tale codice e apposite procedure di intervento. È vero che il welfare dovrebbe essere appannaggio delle istituzioni politiche e che non vi dovrebbe essere un intervento massiccio del terzo settore, delle comunità di fede e delle donne e uomini di buona volontà. Di fatto non dobbiamo dimenticare che il welfare in alcune aree del mondo (e il CEC è un organismo mondiale) di fatto è pressoché inesistente. Per certo l’idea di fondo che guida l’azione del CEC non è l’accettazione passiva di un ruolo di surroga, bensì un agire (oserei dire profetico) che punti anche a stimolare gli organismi internazionali, le nazioni e i governi a fare la loro parte, destinando risorse adeguate alle problematiche della salute e della cura. Le chiese, oltre ad agire in base all’agàpe, sono invitate a darsi da fare per far sentire la voce di coloro che normalmente non vengono ascoltati, fungere da coscienza critica e pungolo nei confronti di chi esercita il potere, soprattutto quando questo esercizio si rivela iniquo.

Da sinistra, Cleopatra Nomonde Mqhayi-Mbambo (chiesa metodista, Sudafrica, vice moderatrice della Commissione salute e cura del CEC). Sergio Manna. Selin Abraham (Marthoma Syrian Church, India).

Nel suo specifico (cappellania ospedaliera, pastorato) cosa porta con sé dai diversi incontri e confronti internazionali che ha potuto vivere nelle riunioni di Commissione?

Siamo ancora nelle fasi iniziali di un processo che, a Dio piacendo, ci vedrà impegnati fino al 2030. Al momento porto con me, oltre alla gioia di aver incontrato persone straordinarie che a partire dalla fede intendono mettere a frutto doni e competenze per il bene universale, molto materiale di studio e approfondimento delle diverse tematiche affrontate. Porto anche la consapevolezza che posso offrire qualche contributo nell’ambito della formazione, dato il mio ruolo di supervisor in Clinical Pastoral Education e di cappellano clinico. Inoltre è nato in me il desiderio di preparare un questionario sul tema della salute mentale da distribuire tra coloro che, a vario titolo, se ne occupano nel nostro Paese, per comprendere come siamo messi in Italia. Ho l’impressione che dopo la pandemia da Covid ci sia stato un aumento delle problematiche legate al disagio mentale. Vorrei capire se la mia è soltanto una sensazione o se c’è qualcosa di concreto, suffragato dai dati. Parlando con persone appartenenti al personale infermieristico e medico mi accorgo che questa percezione è diffusa, unitamente alla convinzione che nel nostro Paese non vengano allocate sufficienti risorse in questo ambito. Ho intenzione di fare delle interviste mirate a persone coinvolte della dirigenza dei centri di salute mentale e di avere colloqui anche con le agenzie ecclesiastiche impegnate in questo settore.


Per saperne di più:

1. Tutti gli articoli nev su Sergio Manna e sulla pastorale clinica.

2. Su Radio Beckwith si parla del corso che inizia ad Angrogna (Torino), il 22 marzo 2024. In conversazione con Daniela Grill, Manna spiega alcuni concetti di “pastorale clinica” e nella parte finale ricorda, cosa importante, che questi corsi possono essere richiesti e attivati da qualsiasi comunità interessata al tema. Clicca sul seguente link: Ascolto, diagnosi, restituzione: strumenti di pastorale clinica | Radio RBE


Churches’ challenges in health and healing work highlighted by global panel | World Council of Churches (oikoumene.org)